© ipp
© ipp
Dalla Cremonese al Chelsea, fino al titolo europeo con la maglia azzurra nello staff di Mancini
© ipp
© ipp
Anche un combattente come lui ha dovuto arrendersi. Dopo aver lottato per anni ci lascia Gianluca Vialli, uno degli attaccanti più forti della storia del calcio italiano e della Nazionale. Una delle icone di un paio di decenni che lo hanno visto conquistare uno scudetto entrato nella leggenda, quello del 1991 con la Sampdoria, e riportare il titolo tricolore nella Torino bianconera nel 1995, prima della storica Champions League dell'anno dopo. Emigrato al Chelsea, ha saputo farsi apprezzare anche in Inghilterra come calciatore e poi allenatore.
Nato a Cremona il 9 luglio 1964, Gianluca cresce in una famiglia più che benestante e inizia la carriera nelle giovanili del Pizzighettone prima di trasferirsi nella squadra della sua città. Nasce come ala e poi si trasforma in attaccante di movimento. Debutta nella Cremonese che poi contribuisce, sotto la guida di Emiliano Mondonico, a portare in serie A nel 1984. Proprio quell'anno passa alla Sampdoria di Mantovani, diventandone un simbolo. Al primo anno conquista la Coppa Italia (che quando lascerà Genova vincerà altre due volte), poi, con l'arrivo di Boskov e la straordinaria intesa in campo e fuori con Roberto Mancini, arriveranno anche la coppa delle Coppe nel 1990 e, soprattutto, lo storico scudetto dell'anno dopo a cui si aggiunge la Supercoppa italiana. Nel 1992 sfiora l'impresa leggendaria di portare la coppa dei Campioni in blucerchiato, fermata dalla punizione di Ronald Koeman a un passo dai calci di rigore nella finale di Wembley con il Barcellona.
E' la sua ultima partita con la Samp prima di trasferirsi alla Juventus. Un paio d'anni in chiaroscuro, allietati dalla Coppa Uefa del 1993, prima della doppietta scudetto-Champions League sotto la guida di Lippi (oltre a una coppa Italia e una Supercoppa). E' in quegli anni che si vede come le sue doti di leadership siano decisive nel trascinare i compagni, anche se è la prolificità sotto rete a renderlo famoso, visto che ha messo a segno 275 gol da professionista e ha vinto la classifica dei cannonieri nella stagione '90/'91.
Dopo la Juve decide per l'avventura in Inghilterra, al Chelsea, nel 1996. Al primo colpo vince la coppa d'Inghilterra, poi nel doppio ruolo di allenatore e giocatore, conquista coppa di Lega, coppa delle Coppe e Supercoppa europea, sfruttando al meglio un grande Gianfranco Zola. A tutto questo va aggiunta l'esperienza in Nazionale, prima nella splendida Under 21 di Azeglio Vicini, poi in quella maggiore con cui partecipa a un Europeo, nel 1988, e a due Mondiali, nel 1986 e nel 1990, quando forse subisce la peggiore delusione della carriera non riuscendo a incidere a Italia '90, soppiantato dalle notti magiche di Totò Schillaci. Abbandona per un feeling non particolarmente elevato con Arrigo Sacchi nel 1992.
Lasciato il calcio giocato, da allenatore riesce a portare il Chelsea, per la prima volta nella sua storia, a un posto in Champions League, prima di vincere FA Cup e Charity Shield. Sembra l'inizio di una grande carriera ma l'esperienza al Watford in First Division, conclusa con l'esonero, sarà la sua ultima in panchina. Dopo si dedica al ruolo di opinionista, a varie attività benefiche e alla stesura di due libri. Nel 2019 torna ad avere un ruolo attivo nel calcio entrando nei ranghi della Federazione come capo delegazione della Nazionale italiana, toccando l'apice nell'Europeo del 2021 vinto dagli azzurri guidati dal suo grande amico Mancini (e l'abbraccio in lacrime tra i due dopo la vittoria ai rigori a Wembley contro l'Inghilterra è l'immagine più iconica di quel trionfo).
Sarà comunque sempre ricordato per la sua straordinaria capacità di essere decisivo in area di rigore, trovando il gol in mille modi diversi, sfruttando una progressione impressionante, una buona elevazione e un'incredibile abilità in acrobazia. Oltre a questo aveva anche un'innata dote di leadership e un'intelligenza tattica che gli permetteva di inventare gioco anche in zone più arretrate (soprattutto negli ultimi anni). In più, capiva come piazzarsi in fase difensiva ed era fondamentale per il pressing chiesto da Lippi negli anni juventini. E' stato, insomma, uno dei migliori attaccanti italiani di tutti i tempi. E non sarà facile dimenticarlo.