Il biologo (e professore) più vincente della pallacanestro italiana
Ci sono figure di sport difficili da dimenticare. Robert “Bob” Morse da Philadelphia è uno di quelli. Esponente di un basket diverso da quello di oggi, a partire dai regolamenti, è uno degli stranieri che hanno fatto la differenza nella pallacanestro italiana del dopoguerra. Ma lui non rappresenta soltanto una cifra tecnica e agonistica, ritrae anche un modo di vivere la vita, lo sport. Una maniera differente di dire sì alle opportunità che capitano. La storia di un biologo che si trasforma in campione e, anni dopo, in professore di Letteratura italiana.
Aprile 1975, finale di Coppa dei Campioni. La Ignis Varese affronta quelli del Real Madrid, galacticos anche con la palla a spicchi. Il parquet è quello dello Sporthal Arena di Anversa, Belgio.
I bookmakers neppure vorrebbero accettare scommesse, tanto l’esito dell’incontro appare scontato. Anzi, a qualcuno sembra già un miracolo il fatto che il quintetto lombardo sia lì. Eppure sono parecchi anni che la Ignis stacca il biglietto per la finale, dunque è decisamente tardi per sottovalutare una squadra senz’altro provinciale, ma che ormai può affrontare alla pari qualunque altra potenza europea. Alla vigilia, a far pendere ulteriormente l’ago della bilancia a favore dei madrileni è l’infortunio di Dino Meneghin. Uno dei pochi, almeno in teoria, in grado di assottigliare un divario tecnico comunque da dimostrare. Allora tocca proprio al Nostro salire in cattedra, tenere unita la squadra e fare la differenza.