Una volta la bicicletta, primo amore dell'Arcitaliano, era un rito di popolo.
Quando Curzio Malaparte rientra dal fronte nella natia Prato, ha una medaglia sul petto ed i polmoni bruciati dall’iprite. Negli occhi il valore dei santi maledetti che si sono immolati a Caporetto, nel cuore il disprezzo per i codardi nell’Alto Comando. A casa lo attende la madre ed una lei, che rappresenta il primo amore di quella generazione che, nemmeno ventenne, si è lanciata nell’avventura della Grande Guerra. È la sua bicicletta: invecchiata ed arrugginita, ma con il sorriso d’acciaio che splende timidamente nella penombra dell’anticamera.
La sua linea è rimasta immutata e perfetta, il profilo slanciato, elegante ed essenziale. Un veicolo machiavellico e arcano, che per magia rimane in bilico su quei due cerchi che ricordano i disegni perfetti di Giotto. Che delusione sapere che questa prodigiosa invenzione non sia stata frutto del genio italiano, come un capolavoro di Leonardo o Michelangelo, o almeno francese e quindi pur sempre latino; purtroppo è la creazione di un innominabile cittadino di Leeds. Eppure la bicicletta ricorda proprio una bella ragazza, una giovane fiorentina, così vivace e spiritosa. E anche se il conterraneo Bartali preferirebbe forme più giunoniche, Malaparte non si stupirebbe se quel corpo fatto di telaio, manubrio e ruote significasse l’amore.