Talento, amore per la velocità e purezza d'animo antica
Sei vittorie in sessantotto gran premi, tredici podi, più di cento punti conquistati. E ancora: due pole position, otto giri veloci. Sono questi i numeri di Gilles Villeneuve, idolo dei ferraristi; l’uomo che, a detta del Drake, è stato l’unico capace di avvicinarsi al mito di Tazio Nuvolari. Se tutto fosse riducibile a un numero, a una statistica, non ci sarebbero dubbi: Villeneuve è stato uno dei tanti, quasi un pilota normale, sullo stesso piano di quelle “seconde guide” che in carriera, da fedeli scudieri, sono riuscite a racimolare qualche vittoria e un buon numero di piazzamenti.
“I numeri non mentono”, si dice, ma mai come in questo caso sono incapaci di rendere la reale dimensione, soprattutto emozionale, di un uomo e di un pilota al quale la Formula 1 tutta, e la Ferrari in particolare, devono moltissimo.
La vita regala a Villeneuve un talento cristallino e un amore incondizionato per la velocità, un istinto di conservazione piuttosto basso, associati a una purezza d’animo fuori dai tempi: a tutto ciò si aggiunge una parte oscura che lo porta a disinteressarsi, in apparenza o no, di ciò che lo circonda. Una capacità di straniamento per il conseguimento di un obiettivo tipica dei grandi, che spesso gli viene imputata durante la carriera perché sintomatica di una pericolosità latente, una tendenza a sorpassare troppo spesso il limite, capace di mettere in forse se stesso e gli altri.