L'ultimo poeta del fútbol
I calciatori si ritirano quando non hanno più voglia di sacrificarsi perché si sono esaurite le forze, spesso mentali prima che fisiche; a volte si ritirano perché un infortunio a un legamento o una serie di lesioni rendono loro impossibile reggere il ritmo del professionismo. Valdano si ritira per essere stato colpito da un epatite, e già da lì inizia la sua differenza. Lo stesso Valdano ha raccontato di essersi invaghito della letteratura proprio durante quei mesi in cui, di nascosto dalla stampa, si curava dopo le partite. D’altronde la lettura l’aveva già scoperta nei lunghi ritiri dove ancora non dominavano le PlayStation, né si palesavano quelle enormi cuffie accessori indispensabili del calciatore contemporaneo, ma è in quei mesi di sofferenza che trova definitivamente rifugio nei libri diventando così un lettore appassionato: non per smania di istruzione ma per il puro piacere di intrattenimento ed evasione.
Quel piacere traspare in ogni parola che Valdano da anni dedica al suo sport, negli articoli scritti per El Pais, nelle opinioni da commentatore in tv oppure negli interventi radiofonici.
Di ex calciatori opinionisti ce ne sono molti, ognuno con le sue qualità e i suoi difetti: si va dai fanatici della tattica a quelli che puntano molto, pure troppo, sui luoghi comuni derivati dalla loro esperienza pedatoria. Valdano, da buon pragmatico, fonde i due aspetti: non separa mai la riflessione tattica dall’analisi della tecnica, conosce profondamente la psicologia del calciatore e sa esplorare gli aspetti quasi mitici del gioco. Una delle sue espressioni preferite è “miedo escenico”, la paura quasi ipnotica che provocano palcoscenici come il Bernabeu, il Meazza o l’Old Trafford. Stima allo stesso modo Zidane e Guardiola e, pur essendo decisamente un “uomo Real” per traiettoria professionale, apprezza lo stile Barcellona. Il suo equilibrio e la sua autorità, d’altronde, disinnescano qualsiasi sospetto di partigianeria.
Valdano, dicevamo, si ritira dal calcio a 31 anni, stanco della epatite B contratta ai tempi del Saragozza che lo debilita molto lentamente fino a diventare cronica. «La cura a cui mi sottoposero era molto aggressiva, consisteva nel farmi delle iniezioni ogni tre giorni che dopo poche ore lasciavano degli effetti terribili: sudori, tremori, febbre, nausea. Andavo a casa, mi mettevo a letto e il giorno dopo stringevo i denti e mi andavo ad allenare come se non fosse successo nulla, però non era così». L’ultima sua partita è a Belgrado contro la Stella Rossa, con 17 gradi sotto zero e il campo ghiacciato. Resiste in campo tutti i novanta minuti e quel giorno, negli spogliatoi l’iniezione se la deve fare da solo; il volo però parte in ritardo a causa delle condizioni meteo, e così le convulsioni lo raggiungono mentre si trova in aereo.