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La Juve non deve omologarsi

I rischi del voler diventare un “top club” a tutti i costi

30 Nov 2020 - 07:57

Appena un anno e mezzo fa, nella primavera e poi nell’estate del 2019, due tra le più importanti squadre europee si interrogavano sul proprio destino: Bayern Monaco e Juventus. I bavaresi, dopo l’eliminazione per mano del Liverpool agli ottavi di Champions con un pesante 1-3 casalingo, sentivano che qualcosa stava sfuggendo loro di mano. Non era tanto la sconfitta in sé, quanto la consapevolezza di non riuscire a tenere il ritmo degli altri top club e dei loro investimenti milionari; ancor prima, di non essere un “top club” nel senso stretto del termine.

Il Bayern aveva speso al massimo 41 milioni per un calciatore (Tolisso), non poteva contare su ricavi simili a quelli dei più grandi e soprattutto non era un brand internazionale come Barcellona, Real, City, PSG, Liverpool, con tutto ciò che ne conseguiva. Non aveva cambiato stemma, non era dotato di profili social coinvolgenti e veniva da una rivoluzione di calcio propositiva (quella di Guardiola) naufragata e rigettata dallo stesso ambiente come corpo estraneo. I bavaresi erano, più o meno, gli stessi di sempre: una società forte, austera, radicata nel territorio e simbolo della programmazione teutonica, ma apparentemente anacronistica per competere a livello internazionale.

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