L'ultimo prima della tragedia Paparelli
C’è chi lo definisce l’ultimo derby da innocenti. Non è affatto così. Quel Roma-Lazio è la stracittadina che precede la tragedia di Vincenzo Paparelli. Essere innocenti è altro. Basta ripensare a quegli anni e sarà semplice rendersene conto. Quel derby ha anche un’altra caratteristica: passerà agli annali come uno dei più strani. Succederà di tutto, compresa l’espulsione di un giocatore due secondi dopo essere entrato in campo. Un confronto deciso alle ultime battute, quando le partite duravano in effetti 90 minuti. Al massimo 91. 18 marzo 1979. All’ora di pranzo la giornata è grigia. I tifosi si stanno recando allo Stadio Olimpico. Da anni vedere la partita è un’impresa che si compie a proprio rischio e pericolo. Scontri, cariche di polizia, uso dei lacrimogeni. Rituali quasi inevitabili. Del resto, anche negli anni ’70 il calcio è il riflesso della società italiana e lo stadio non può essere certo santuario. A Roma (e non solo nella Capitale) la situazione generale dell’ordine pubblico è degenerata da tempo ma si vuole far finta che non sia così. Meglio ridurre il problema a “quattro mele marce”, più semplice.
Se ai tempi di “Poveri ma belli” si andava armati di battute di spirito e di un sano e scanzonato fatalismo, da inizio decennio le tifoserie vengono separate per evitare scontri sanguinosi. Nel 1979 il livello di insicurezza è massimo. Non si registrano ancora morti per scontri da tifo ma l’incolumità degli ultras appare più frutto del caso che segno di coscienza civica. Il 18 marzo Vincenzo Paparelli, tifoso della Lazio di 33 anni, ha 224 giorni ancora da vivere ma non può saperlo. Con buona probabilità quel giorno è all’Olimpico. Se c’è, di certo non è armato. È un tranquillo padre di famiglia e uomo di rara mitezza d’animo.