Siamo campioni d'Europa
Sarebbe ingeneroso chiederci oggi lucidità. Nell’analisi della partita certo ma anche in generale, reduci come siamo da una nottata interminabile, stordente, senza sonno; passata per le vie delle nostre città con amici vecchi e nuovi, ubriachi di gioia, entusiasmo e non solo. Come scrivevano alcuni giornalisti durante i conflitti mondiali, abbandonando la postazione e partendo per il fronte: “non è più tempo di carta stampata!” Non lo era ieri e non lo è oggi, almeno per noi, giornalisti per caso ma Italiani per necessità. Anche perché questa vittoria è stata un’autentica liberazione, agognata e necessaria, il coronamento di una lunga marcia iniziata con quella ferita nazionale (e generazionale, se è vero che ormai i Mondiali scandiscono le età della vita) della mancata qualificazione a Russia 2018. Senza voler parlare della pandemia e delle restrizioni, adottate in Italia con una severità quasi unica nel mondo.
È grazie alla Nazionale, in un’epoca che ha condannato a morte le Nazioni dopo aver fatto altrettanto con qualsiasi narrazione collettiva (politica, religiosa, morale), che ci riscopriamo italiani: un paradosso, un segno dei tempi direbbe qualcuno, fatto sta che forse gli Azzurri, da nord a sud, sono l’ultimo mito e rito di popolo rimasto. In un Paese anarchico ma conservatore, capace di complicità ma difficilmente di solidarietà, culla del dritto e del rovescio, ci aggrappiamo alla nostra identità mobile e mutevolissima rappresentata però dalla Nazionale più unita e radicata d’Europa: un gruppo compatto e coeso, di ragazzi e tifosi italiani ancor prima che di giocatori – su questo, e solo su questo, aveva ragione Southgate:
«A volte dimentichiamo quanto significhi per i giocatori. Anche i giocatori sono tifosi. È così che inizia, con i bambini seduti davanti alla TV, con i poster al muro dei loro eroi».