L’Inter sta tornando quella che era ma intanto andrebbe affrontato anche il clima attorno al calcio
Due argomenti distinti in questo articolo ma uniti da una data. Ieri si celebrava l’anniversario della morte di Giacinto Facchetti. La data della sua scomparsa coincide con un periodo felice per l’Inter ma anche pregno di un clima di odio senza precedenti. Calciopoli ha fatto detonare un sentimento di assoluta frustrazione di un “popolo” che ha travolto persino un uomo straordinario come lui.
L’infamia, le calunnie, il fango gettato addosso a Facchetti dopo la sua morte, con accuse e verità distorte gratuite, rilanciate disinvoltamente verso la sua figura, sono il punto di non ritorno del calcio moderno. Basterebbe sapere chi fosse, dare uno sguardo alle sue interviste, conoscere la sua storia, per intuire facilmente quanto incongrue fossero le diffamazioni postume che gli attribuivano intenzioni ambigue nella gestione dell’Inter, senza che nessuno contestualizzasse la situazione nella sua interezza. Soprattutto è stato fatto un minestrone, mettendolo sullo stesso piano di altre figure coinvolte. Un fango che per fortuna non ha dovuto subire personalmente.
Nello stesso giorno dell’anniversario è arrivato il comunicato della curva Nord, rivolto a Lukaku, paradossalmente solidale più con la curva del Cagliari che con il giocatore interista. Stando al comunicato della curva il tema del razzismo è solo nella nostra testa, perché fare il verso della scimmia “uh uh” ad un uomo di colore è solo folklore, un modo per distrarre l’atleta dall’esecuzione di un gesto (il rigore) o nel corso della partita. In ogni ambito del nostro Paese si accusa da una parte e si smentisce dall’altra che esista un problema razzismo. Tutto questo nonostante ripetuti episodi presenti nella società civile e, ovviamente negli stadi.
Non penso però al razzismo ma ad una forma, non solo italica, di cialtronesca ignoranza, un debordante abbruttimento di un tifo che sui social e negli stadi irride i “terroni”, i morti dell’Heysel e Superga, spernacchia i defunti, come nel caso del tifoso del Rangers che ha aspettato all’uscita il giocatore del Celtic per chiedergli come stava sua sorella, morta per un tumore. Se fosse solo una questione di razzismo il problema sarebbe circoscrivibile, invece qui si tratta di qualcosa di molto più serio e che riguarda un analfabetismo dell’anima, di un’ignoranza “imbruttita” e incattivita che crea sociopatia e ritiene normale dare fondo a qualunque tipo di comportamento acido, volgare, privo di rispetto, maleodorante come protesta stupida verso la società vista come lontana e ipocrita.
Il problema non verrà risolto, ci si incaglierà sempre nei consueti dibattiti sul razzismo, senza iniziare un percorso culturale, semplicemente per una questione di soldi e perché manca la preparazione nelle istituzioni. A differenza della violenza negli stadi che poteva essere arginata e risolta, questa ignoranza urlata sui social e negli stadi da gente convinta di “non dire niente di male”, non ha alcun tipo di recinzione, non vi è punizione e viene persino reclamizzata dalla stampa o sui social stessi.
Il calcio non ha strumenti culturali per affrontare la materia e non li ha nemmeno nelle goffissime prese di posizione, come la scorsa stagione quando portarono alla squalifica di San Siro dopo i cori a Koulibaly, solo perché era avvenuta la tragedia fuori dallo stadio. Altri cori sono poi stati ascoltati, senza la medesima punizione, dando perciò coraggio a chi si divertiva a prendere in giro legge e morale, ad esempio sul codice dedicato alla discriminazione territoriale. Non siamo preparati ad affrontare l’ignoranza, gli si oppone solo retorica, senza reali soluzioni. Andrà avanti così per molto tempo.