La prestazione ha gettato le basi al servizio del colpo del campione
di Luca Momblano
Ogni vittoria è un segnale, ogni vittoria ha un padrone. Verrebbe a dire che a Marassi la Juventus sia stata una di quelle quattro o cinque Juventus stagionali immaginate al pensiero dell’esistenza di un tandem Paratici-Sarri, ovvero il dopo Allegri che parrebbe avere una sua forma proprio nell’ultimo giorno di contratto dell’ex allenatore che a questo punto grande ex rimane. In verità di fronte c’era un Genoa malato, una delle tre-quattro squadre senz’anima di questo minicampionato nel campionato, ma ciò non toglie che i bianconeri siano scesi in campo non solo sullo 0-0 (risultato non esattamente uguale a quando si scenderà in campo per quella partita diversa da tutte le altre che sarà Juve-Lione) e che oltretutto Capitan Bonucci e compagni siano scesi sul terreno di gioco a pochi istanti dal successo in rimonta ottenuto dalla Lazio contro il Torino (altra squadra senza un’anima). Possibile però che il padrone di questa vittoria sia stato Andrea Agnelli, che in campo non ci va come non ci vanno dirigenti e allenatori, ma che torna in trasferta con la squadra - immortalato serio è concentrato anche dopo il vantaggio - dopo i messaggi fatto pervenire a seguito della finale di Coppa Italia persa ai rigori contro il Napoli.
E allora che cosa trarre dalla parziale parità del primo tempo in casa rossoblu? C’era già il segnale di un impatto diverso, di giorni diversi, di gamba diversa rispetto agli strani inizi visti contro Bologna e Lecce? La risposta è sì (con l’accento). Le intenzioni sono subito parse azioni: la Juve cercava la porta di Perin (alla fine tra i migliori), la Juve cercava la conclusione, la Juve cercava di mettere subito in mostra piedi, princìpi e muscoli. Non ha torto Sarri, per esempio, quando riconosce essere una vittoria griffata dalle clamorose individualità che questa squadra e questa società mettono a disposizione dello staff tecnico e dei tifosi ogni anno di più: non ha torto perché fa bene a ribadire che questa volta la prestazione ha gettato le basi al servizio del colpo del campione. Si vorrebbe che fosse sempre di più così, per vivere un’equazione che avrebbe il netto sapore dell’upgrade ricercato e acquisito.
Ma andiamo sui protagonisti in campo. Dybala che la blocca con il suo sinistro è ormai una dolce abitudine, che sia frutto di un assolo solitario riconcilia con il calcio di sempre, con il calcio dei giocatori che hanno qualcosa di diverso e che per questo verranno ricordati; Douglas Costa è invece un’altra categoria di calciatore, gol pochissimi ma elevatissimi, come se una parte del suo repertorio gli riuscisse soltanto in partite che assumono un mood da allenamento. E non è riduttivo, perché resto convinto che Dougy (così ama chiamarlo mister Sarri) di quei goal e di quelle traiettorie sia capace di riempire i pomeriggi della Continassa. Infine Cristiano, infine il gol su azione che gli mancava dallo scorso 22 febbraio, infine il gol che segnava abitualmente al Manchester United, il goal che non credevamo più di vedere in Serie A e dunque, forse, neanche alla Juventus. Ma l’immaginario collettivo a volte si tramuta in realtà. Chissà che non accada ogni tre giorni da qui al prossimo 23 agosto, chissà...