Dalla sconfitta di Lione al successo sull'Inter: storia di una metamorfosi inattesa
Quando la Juventus di Maurizio Sarri usciva dal Parc OL sembrava che molto andasse archiviato di questa nuova esperienza del dopo Allegri. E tre giorni dopo arrivava l’Inter allo Stadium, e per di più senza quello che sovente viene posto come ultimo appiglio di una squadra che può scamparla soltanto grazie ai nervi. Tra venerdì e sabato scorso - e poi ancora per quasi l’intera settimana successiva - succede quel che succede, fino per lo meno ad azzerare la parte inutile delle parole spese intorno a un match che in ogni caso non sarebbe valso lo Scudetto 2020. Chissà se ha un senso citarlo, questo parolone. Ma la Juve infine vince con i piedi, con la testa, con la superiorità tecnica, con la personalità, con il fraseggio, con il senso di esserla meritata tutta. E i nervi - tipici degli Juventus-Inter di quando il calcio sembra stare al primo posto di tutto - là nell’angolino. Che sono poi le vittorie che più gratificano, che più danno un senso al sospeso delle troppe domande che sembravano non trovare più risposte.
Insomma, undici giorni sono trascorsi dall’1-0 patito in Champions League dalla Juventus, dieci dal nuovo episodio della leggenda che si portano dietro questi dieci anni di gestione Agnelli: proprio lui, il Presidente, e un duro summit in sede con i vertici dirigenziali, lo stesso Sarri e Chiellini, Buffon, Bonucci, Ronaldo, Dybala e Szczesny in rappresentanza dei pilastri che lo spogliatoio sembrava nascondere sul campo. Da qui il nuovo significato di un Juve-Inter che la Juve, secondo molti spaventata, non vedeva l’ora di disputare. Domenica scorsa come domenica questa. Con una partita esattamente così, perfetta per quel che serviva e quel che si cercava: il primato, la forza, il calcio applicato; il modo di stare in campo, la voglia di essere squadra, la palla che si muove sempre, la capacità di attaccare in sette o otto coniugando tutto questo con l’idea che in porta ci arrivi anche senza stazionare dentro l’area di rigore con uno o due uomini che finiscono gradualmente fuori dalla partita. E complimenti quindi se tutto è riuscito, e che del resto del campionato sia quel che sia. Prima le necessità, poi quasi certamente il Lione. Con Sarri che riceve qualcosa indietro anche da Gonzalo Higuain oltre che a un Dybala ormai fantastico anche nei break da 20/30 minuti (all’andata i ruoli erano stati opposti, con risultati analoghi, ma sembrava un’epoca geologica fa quella partitissima): il Pipita fa nell’ordine il centravanti mobile, il rifinitore di sponda, il terzo a sinistra come capitò a Mandzukic ossia alla fine il “servo” di un Ronaldo fuori categoria per condizione atletica e mentale. E scusate se va benissimo così. Scusaci Gonzalo, ma deve funzionare così. Una volta per tutte. E un bel 2-0 con finale a pallate per tutti.
Il podio di questo successo è di conseguenza intasato. La Juve manda segnali nel primo tempo, e soprattutto mostra intenzioni. E ancora meglio rimette in mostra una cerniera difensiva all’altezza della fama e della storia in bianconero di questo reparto. De Ligt e Bonucci vanno anche a staccare famelici sui corner: è serata. Le partite in crescendo sono poi le più belle, o per lo meno quelle che impressionano di più. Quelle che lasciano di più. Se l’Inter ci ha messo del suo è problema di Antonio Conte. Il podio, dicevamo, dal quale non può star giù Rodrigo Bentancur nel ruolo più suo perché ha mobilità, intelligenza, tranquillità e margini ancora incredibili (non a caso forse il più simile a Jorginho per interpretazione senza troppi ricami, ma con pressante continuità di giocate, davanti alla difesa). Con Bentancur puoi sopportare Cuadrado terzino, che poi fa anche lui tre o quattro ruoli. Ed è un effetto domino, con il colombiano che il bronzo se lo prende. Il primo posto, la medaglia d’oro, sceglietela voi. Noi pensiamo al fatto che il 2-1 dell’andata (che poteva essere anche tre o quattro) doveva essere l’inizio e abbiamo temuto fosse stata la fine. Questa seconda chance, se proprio dovremo giocare finoallafine, non la possiamo più gettar via. Avrebbe del diabolico, quando invece si tratta solo di crederci e rendersi conto che non c’è sistema di gioco che possa funzionare senza correre di più e meglio dell’avversario. Teniamo duro, ma non deve valere solo per la Juve. Anzi, mai come questa volta siamo tutti sulla stessa barca. Per una notte, semplicemente, non abbiamo fatto caso alle onde. Lo sport contiene questa magia, ricordiamocelo anche la prossima volta.