Per rilanciare e rilanciarsi gli sport di squadra permettono di cambiare
La piega presa da questo campionato è stata a un certo punto, per la Juventus 8.0, alla stregua di un lungo e mai abbastanza applaudito giro d'onore. Come Gelindo Bordin a Seul, la squadra (con in capo Massimiliano Allegri) ha utilizzato le ultime cinque giornate un po' come fece il grande maratoneta vicentino negli ultimi 80 metri in quel pomeriggio del 2 ottobre 1988: si misura la fatica, si prende consapevolezza, si apre il sorriso, si cancella il valore del cronometro e si ringrazia. Fatica che per i bianconeri è soprattutto nella testa dopo cinque anni di metodo unico e otto di sistematici successi su scala nazionale.
E quando si vince così non ci si ricorda neanche né dei tempi intermedi né dell'esatta distanza dagli inseguitori. Per rilanciare e rilanciarsi gli sport di squadra permettono qualcosa che a livello individuale è enormemente più complesso: cambiare, appunto, il metodo. È esattamente ciò che ha deciso la testa del club, con buona pace di un Allegri che forse aveva intuito ma che non aveva pienamente capito: dall'ufficialità della separazione fino al dopogara di Marassi - nella sua ultima storica sulla panchina della Vecchia Signora - il tecnico ha dovuto convivere con l'ombra lunga del toto-successore.
Pare, oltretutto, che anche lui si sia (apparentemente) divertito a ipotizzarne il nome. A inverno in corso temeva che le scarpe potesse fargliele Antonio Conte (ecco, qualcosa allora aveva effettivamente intuito), per poi gradualmente convincersi che il fantasma possa essere invece quello di Maurizio Sarri (velatamente citato nella conferenza congiunta con il presidente Agnelli).
Sinceramente, non so cosa sia sulla carta peggio per lui come effetto immediato. I conti alla lunga potrebbero dare eterna ragione al suo lavoro, da qualcuno sottovalutato e da qualcun altro sopravvalutato, ma che verrà fissato nei giusti canoni quando la squadra Juve non assomiglierà più in niente a questa Juve.
Se Conte era un nome che poteva irritarlo concettualmente, quello di Sarri è un nome che potrebbe svilirlo calcisticamente (tenendo buono il condizionale). Perché un'esperienza Sarri attaccata all'esperienza Allegri descriverebbe una nemesi assoluta e un giudizio più netto da parte della società rispetto a ciò che è stato lasciato trasparire. Per non parlare poi dei tifosi.
Ovvio che Pep Guardiola metterebbe tutti d'accordo (saremmo quasi al plebiscito, e in Juventus neanche a dirlo vale lo stesso viste le intenzioni che lasciano in un angolo le dichiarazioni), con Jurgen Klopp l'adrenalina supererebbe il fascino e il tifo reagirebbe quasi ai livelli di cui sopra. E se con José Mourinho sarebbe spaccatura come tra guelfi e ghibellini, ecco invece che Maurizio Sarri ne spaventerebbe parecchi.
È davvero lui la carta nella manica di Fabio Paratici? Ma davvero il prossimo allenatore lo sceglie Fabio Paratici? Ma davvero, anche scelto da altri, tratterebbe con Fabio Paratici? Non è per nulla una questione di quanto Sarri sia preparato o quanto sia allenatore vero. Perché lo è. Il punto è l'ansia dello juventino al solo pensiero, già attivato dalla prima totale convergenza dei grandi media su un unico nome. Ma ogni ora, in questa corsa all'esatto nome, è come una partita. Stress, tanto stress, e se hai vinto o perso lo capirai soltanto nel maggio del 2020.