Contrordine compagni: il Milan rimane com'è!
di Andrea Saronni
L’anno prossimo, di questi tempi, saremo tornati a vedere improbabili finti classici da semivuoti stadi americani, a berci tormentoni e fanfaluche di calciomercato, a fare le cose che in genere facciamo nelle sere di bella stagione. E specie qui nella parrocchia rossonera, rimpiangeremo sospirando questa estate pazza, stravissuta, stralunata, senza tregua (cit.). Per sbrodolare basterebbe l’ennesima vittoria, gli ennesimi due gol e chi li ha segnati, Re Zlatan. E terrebbero banco anche gli infortuni, le squalifiche, la maledetta Atalanta da affrontare con una squadra improvvisamente nuda. E invece tutto è ridotto a quisquilie e pinzillacchere (altra cit.) dal violentissimo e improvviso temporale che ha spazzato via Ralf Rangnick, la sua panchina e la sua scrivania mai nate: e finiti tuoni e fulmini, ecco il Milan uscirne con la faccia da Nome della Rosa di Stefano Pioli, e sullo sfondo Paolo Maldini. Contrordine, compagni: il Milan rimane com’è, la storiella estiva si trasforma in un fidanzamento vero e proprio, e buonanotte, tanti saluti e 2 milioni per il disturbo a Der Professor, sposa promessa diventata improvvisamente brutta, racchia e pure un po’ antipatica.
Ora, su un Pioli a lungo termine e sul mancato avvento del mister-manager tedesco ognuno è libero di avere le proprie opinioni. Io, personalmente, ritengo che nessuna delle sue soluzioni fosse ideale per un tentativo di rilancio agli altri livelli del Milan, e il male minore è certamente la permanenza del tecnico emiliano, che - tra altri indiscutibili pregi - almeno sa bene cosa è la Serie A. Ma il punto è un altro, altra è la vera notizia contenuta dal fatto della rivoluzione abortita: Paolo Maldini vince, anche per Zvone Boban. Ivan Gazidis invece, perde, anzi, straperde. Il boomerang di una scelta fondamentale, compita scavalcando i suoi dirigenti responsabili dell’area tecnica, lo ha colpito sull’ampia fronte.
L’ambiente milanista ha fatto carpire che le ragioni del clamoroso “come non detto, sarà per un’altra volta” siano da ricercare nel tentativo di fare accettare a Rangnick l’assunzione del solo ruolo di d.t. con la permanenza di Pioli come allenatore: se davvero è andata così, è una retromarcia goffa e dannosa, comunque la si pensasse sul tedesco. Impostare un cambio così radicale per intraprendere un nuovo progetto, farlo sapere all’universo mondo con anticipo stellare e poi, al dunque e di fronte a una impennata tecnica e caratteriale della squadra, cercare la soluzione di compromesso perché è evidente il rischio di smontare un giocattolo che pare abbia finalmente ripreso a funzionare. Molti milanisti - forse la maggior parte - avevano accettato di condividere il rischio Rangnick e seppellire le perplessità (e Pioli) in virtù di un principio molto semplice: per ricostruire un grande Diavolo giusto ripartire da zero, assegnare missione e tempo necessario a un vero capo-progetto che sia direttamente responsabile anche delle scelte degli uomini. Annullare tutto così, a pochi giorni dal giro di boa, è segno di debolezza, improvvisazione, incapacità di tenere il timone in mano dopo averlo voluto strappare ad altri.
Il signor Ivan, alla resa dei conti, è veramente Terribile, e non proprio nella forma di quel famoso Zar. E questa storia è il timbro, la certificazione di una inadeguatezza alla guida di una macchina particolare, complessa quale è quella di un grande club. A meno che all’orizzonte, a breve-medio termine, ci sia qualcosa di più grande e ancora più clamoroso, vale a dire una nuova proprietà, un nuovo Milan, qualcosa che abbia suggerito di punto in bianco di continuare una navigazione sotto costa e di non lanciarsi al largo. Ma francamente appare improbabile.
Avanti con Paolo, allora, e con Pioli. E a questo punto, se la logica è non toccare la formuletta che ha permesso di ritrovare un po’ di calcio e di risultati, a stretto giro di posta bisogna andare avanti anche con Ibrahimovic. Proprio il mister, nella conferenza seguita al match col Sassuolo, ha posto l’accento sui risultati e sui numeri prodotti “da gennaio”: ovvero da quando dentro il tessuto debole in campo e debolissimo in allenamento e spogliatoio è stato iniettato il Grande Z. È evidente, solare, come in realtà alla guida del Milan ci sia un ticket, e come l’idea di calcio di Pioli avrebbe fatto probabilmente una brutta fine se non avesse avuto la fondamentale sponda dell’idea “di calci” (virtuali, per carità) dello svedese, a cui va proposto fin da ora un ruolo ideale, magari pure nuovo, per il dopo-calcio. Nel frattempo, contrattino per un altro anno, grazie, e continuate pure a dire che così facendo si vive nel passato, che si è fuori dalla realtà. Anche il Milan che vince sempre o quasi, era tristemente fuori dalla realtà.