Anche nei 90 minuti decisamente no come contro il Parma è il generatore elettrico di questa squadra
di Andrea Saronni© italyphotopress
Dal 3 agosto al Milan ci sarà ben altro da fare, ma per noi appassionati di psicologia e di Diavolo sarebbe interessante potere leggere un report di qualche specialista sul tanto di positivo accaduto nelle teste dei giocatori in questa estate che non ti aspetti, piena di vittorie, di gol, di soddisfazioni. Una squadra di calcio, con i suoi limiti - ancora tanti -, ma anche con tutte le caratteristiche necessarie per potersi definire tale: a cominciare proprio da una forza morale di cui si erano perdute le tracce da tempo, ben oltre questo campionato.
Le metamorfosi mentali, di atteggiamento, di qualche nostra vecchia conoscenza sono lì da vedere: i casi di Kessié e Calhanoglu, giusto per fare nomi, sono lì da vedere. E ricordando qual è stata la loro incostanza fino a poco tempo fa, colpisce ancora di più che il loro repentino upgrade sia giunto in una situazione in cui le teste deboli avrebbero potuto ancor più lasciare gli ormeggi: un allenatore già accompagnato alla porta, uno nuovo all’orizzonte, una dirigenza spaccata che non offre al gruppo un punto di riferimento e situazioni contrattuali che possono portare all’addio o a tensioni (vedi alla voce a Donnarumma). Aggiungendo la situazione di classifica, che alla ripresa faceva apparire complicata anche la rincorsa ai preliminari di Europa League, ce n’era abbastanza per assistere a un “rompete le righe” o comunque alla creazione di un terreno molto scivoloso per molti elementi della banda dei giocatori mai stati leader nemmeno di se stessi.
Cosa è scattato invece, cosa ha determinato invece il bellissimo contropiede del Milan che gioca, lotta, segna e vince?
La condizione fisica ottimale e la quadratura definitiva di uomini, modulo e meccanismi di gioco sono lì da vedere, ma il successo - anzi -, il trionfo di Pioli è un team che becca due gol dalla Juve in 5 minuti e non si disunisce, che incoccia avversari altrettanto in forma e più forti e si prende il risultato positivo sapendo soffrire (Napoli), che trova risorse spesso decisive anche da una panchina non proprio lastricata d’oro.
Una nuova convinzione alle cui spalle è impossibile non intravvedere la sagoma di Zlatan Ibrahimovic, imprescindibile e grande rompiballe che persino in 90 minuti decisamente no come quelli col Parma, è il generatore elettrico di questa squadra, lo scudo spaziale che insieme a cazziatoni, insulti, braccia allargate proietta carisma e soprattutto il continuo stimolo a non sedersi, a non accontentarsi, ad allontanare l’orrenda sindrome da cartellino timbrato. Chissà, anche il cocktail tra gli stadi vuoti e le urla di Zlatan sono stati come una pozione magica per gli ex inaffidabili a strisce rosse e nere.
Se è andata davvero così, anche senza studio psicologico, lo capiremo dall’autunno prossimo: gli stadi - ce lo auguriamo, con tutta la forza e la speranza - torneranno a riempirsi e Ibra sarà altrove, in Svezia, chissà. E francamente, almeno nei primi tempi e a dispetto di Rangnick, un bel cartonato a grandezza naturale del Grande Z a Milanello, negli spogliatoi di San Siro e ai bordi dei terreni di gioco, noi ce lo piazzeremmo.