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Il Milan e l'esercito del nulla

Giampaolo traballa, ma alle sue spalle chi comanda non sembra avere le idee molto chiare sul da farsi

01 Ott 2019 - 08:54

Proprio oggi, dalle pagine del Corriere della Sera, un allenatore campione d'Italia con il Milan quale è Alberto Zaccheroni ricorda una delle molte leggi non scritte del calcio: l’allenatore pubblicamente “in discussione”, l'allenatore a cui viene data fiducia “a tempo” è già un ex allenatore, tanto vale esonerarlo subito, la squadra sente queste cose e non lo segue più. Quindi, nella sua caduta libera verso il baratro, il Milan e i milanisti viaggiano verso la prossima tappa di questa sconcertante via crucis senza una guida tecnica, o meglio ci sarà l'ologramma, il fantasma di Marco Giampaolo, materializzatosi come tale anche domenica sera a bordo campo, mentre guardava con occhi vuoti lo sfacelo, il totale fallimento del suo lavoro di tre mesi.

Qualche metro sopra di lui, sedeva il plotoncino di Casa Milan: Boban, Maldini, Massara, Gazidis, c’era anche Gordon Singer. Più dirigenti che gol segnati. Dirigenti che – con l'unica eccezione del figlio del “proprietario” – sono ora incerti, spiazzati e fors’anche divisi sulla via da prendere per salvare una squadra malatissima: la ridda di nomi per la panca che si è scatenata in 48 ore comprende un Rudi Garcia sponsorizzato da Massara, Ranieri visto bene da Gazidis che si ricorda il Leicester, Shevchenko che ricomporrebbe il team con il suo grande amico Maldini, che tuttavia sente di dovere combattere fino all'ultimo la battaglia Giampaolo, che è stata una sua scelta. Boban, invece, sogna Allegri, per cui servono una barca di soldi e anche una notevole forza di convinzione, perché a guidare questo Milan si rischia un pezzetto di reputazione. Nessuno pensa a una telefonata a Rino Gattuso, l'unico che forse saprebbe cominciare a mettere subito le mani nel pantano mentale e tecnico della squadra: oggi, nel dramma sportivo di questo povero Diavolo, si può capire meglio il lavoro che questo allenatore ha fatto sul recupero psicologico di anime delicate, fragili, complesse, immature come quelle di Suso, Calhanoglu, Kessié, Donnarumma, Piątek, altro che chiacchiere sul 4-3-3, sull'atteggiamento troppo difensivo, il gioco poco brillante e via dicendo. Ma tanto il telefono non suonerà, e se mai suonasse, la risposta, da un uomo così, potrebbe essere pure no.

Per coerenza rispetto alla ragione – che era quella della richiesta respinta dell’innesto di uomini di esperienza – che giustificò un divorzio comunque già deciso in nome del progetto “squadra giovane (e rivendibile) che giochi un bel calcio”. La squadra giovane, come sappiamo, in tre mesi non ha giocato a calcio. Bello, brutto, a metà strada, nessun tipo di calcio, inteso come sport in cui devono convivere tecnica, tattica, fisicità, agonismo, determinazione, carattere, leadership. Alla prima ventata, che può essere anche meno di un gol, gli undici sventurati sul campo vengono presi dal terrore, e i piedi non maradoniani non li aiutano. Alla Fiorentina, per distruggere questi ragazzi, è bastato un pressing alto. E dubitiamo fortemente che l'allucinante performance di domenica sera, condita dalla rabbia disperata di San Siro, abbia prodotto effetti sulla loro testa. Un confronto, urla, accuse, faccia a faccia. Scenderanno sabato dal pullman con cuffiette d'ordinanza e con quelle facce un po' così, di quelli che stanno andando a Genova per cercare qualcosa che non sanno come trovare. E nessuno li aiuta a trovare, giovani non-campioni ormai senza allenatore, senza una dirigenza che – come vorrebbe la semiotica – dovrebbe dirigere, dare una direzione. L’armata del nulla rossonero si prepara alla prossima trincea, le tante vittime, intanto, vengono identificate con un unico nome: milanisti.

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