La Nazionale insegna che non servono fenomeni per giocare a calcio. E Giampaolo lo sa...
Nella bella immagine della Nazionale di Roberto Mancini che rimane negli occhi dopo il match in Grecia, il fotogramma di un piccolo disappunto - l'assenza di milanisti in campo – e soprattutto una considerazione che si riflette sull'allestimento del Milan che verrà. Azzurra si sta ricostruendo, e bene, sulla qualità. Fenomeni non ce ne sono, dalle nostre parti, ma il c.t. ha imperniato la sua scelta tattica partendo dai calciatori “buoni", quelli che a sua opinione dovevano fare parte dell'undici di base. L'eccellenza manca, la qualità no, assolutamente: specie a centrocampo, dove la linea formata da Barella, Jorginho e Verratti si sta dimostrando di gran lunga il miglior reparto mediano visto in azzurro da molti anni a questa parte.
Trasportata sul Milan, questa logica affascina e pure spaventa. Affascina perché è la stessa di Marco Giampaolo, che ha sempre privilegiato le capacità tecniche e tattiche dei calciatori rispetto alla fisicità; spaventa perché in questo preciso momento, pochissimi rossoneri possono corrispondere a questo identikit, e in ogni caso c'è una vera e propria emergenza numerica nel settore.
Bakayoko se ne è andato, il futuro di Biglia è incerto, l'addio a Josè Mauri e ai fantasmi Bertolacci e Montolivo è cosa fatta, la riconversione di Suso (comunque con la valigia pronta) in mezzala o trequartista “universale” come chiede il prossimo allenatore appare improbabile, Kessie è l'indubbio puntello dinamico, ma non ha le caratteristiche richieste. Gli unici due su cui cercare di ripartire sono Paquetà e Calhanoglu, con il brasiliano apparentemente perfetto per essere il “10" richiesto da Giampaolo, vale a dire mobile, duttile, in grado di supportare il centrocampo, ma contemporaneamente meno blindato da obblighi difensivi e il turco che può ritrovare definitivamente il suo ruolo più naturale, quello di mezzala, a meno che l'allenatore non voglia condurre un esperimento ventilato da molti addetti ai lavori, ovvero quello di trasformare Hakan nel nuovo regista basso. Piedi indubbiamente buoni, ritmo di corsa più costante e capacità di lancio preciso a lunga gittata: una prova, questa idea, la meriterebbe.
Per il resto, il centrocampo del Milan gli è tutto da rifare, come avrebbe detto l'indimenticato Gino Bartali. La solita girandola di nomi, da Sensi a Praet – pupillo di Giampaolo – è già cominciata, ma la compilazione del consueto elenco telefonico di gente avvicinata alle amate strisce (quest'anno striscine, stupende) rosse e nere davvero rischia di annoiare, più che stuzzicare. Per un reparto completo, panchina compresa, serviranno quattro innesti, magari tre se rimane Biglia. Servono azioni concrete che nascano da idee tecniche chiare, e se quella principale è di una squadra che faccia della qualità la sua cifra, specialmente nel reparto nevralgico, da dove si sviluppa davvero il gioco, ben venga. Ce l'hanno spiegato secoli fa i latini che “in medio stat virtus", e mica andavano a Coverciano, quegli antenati.