Ci sono quelli con la minuscola e con la maiuscola. I primi sono quelli che un pallone lo martellano. Gli altri sono i Fabbri, quelli che arbitrano
La domenica e i suoi risultati attutiscono la botta di sabato, aiutano un poco a fare rientrare il fegato negli spazi deputati. Trovarsi ancora in pugno il voucher per la Champions League dopo avere raccolto un misero punto degli ultimi 12 va interpretato dal Milan e dal milanista come un segno del destino, oltre che come chiaro segnale di valori che testimoniano l’acqua molto bassa del campionato italiano. Se la Sparta rossonera piange, per le Atene di altrove c’è ben poco da ridere. A pensare che due - si considera anche l’Inter - di queste cinque squadre che flottano tra il terzo e il settimo posto si siederanno al tavolo dell’elite europea c’è da farsi venire un brivido, davvero. L’Atalanta merita un discorso a parte, d’accordo: ma da quelle parti di classifica comunque nobili pochi sono gli artisti, o gli ingegneri, gli architetti; molti sono gli artigiani, i manovali. E infine ci sono i fabbri, con la minuscola e con la maiuscola.
I primi sono quelli che un pallone lo martellano, quelli portati a lavorare molto di impeto e poco di testa, che provano a essere scultori, ma sempre fabbri sono, e alla fine combinano il danno. Anche al Milan ce ne sono diversi, e sono costati punti, non ultimi quelli dello Stadium. Gli altri sono i Fabbri, quelli che arbitrano. Le nuove leve del fischio, i coetanei dell’era Var, chiamati a crescere insieme allo strumento, di dare la nuova via al mestiere del direttore di gara. Ecco, questi Fabbri sono il vero danno, le serrature del campionato le scassinano, non le riparano. Ventiquattro ore dopo le prodezze di Juventus-Milan, si è assistito allo sconcertante episodio di Lazio-Sassuolo, l’ennesimo penalty assegnato con Var da Abisso, il più Fabbro di tutti, uno che dopo il rigore per inedito fallo di petto - visionato - al 95’ di Fiorentina-Inter avrebbe dovuto sparire almeno fino al termine del campionato. Andasse in Serie B a ripassare, e invece no: anca di Locatelli, palla sul braccio, regolamento incredibilmente ignorato e rigore per la Lazio che alla fine della fiera pesa e peserà anche nella storia milanista di questo campionato. Il suo giovane omologo Fabbri, l’altra bella speranza del mentore Rizzoli, ha invece superato i confini della famosa, discussa “sudditanza psicologica”: per capire il non-rigore per il Milan di Torino e i permessi speciali accordati al grande e indisponente Mario Mandzukic, bisogna forse scomodare Freud. Battute livorose a parte, certi fatti arbitrali, le ragioni di certe incredibili negazioni dell’evidenza vanno cercate all’Aia, presso chi designa questi direttori di gara evidentemente inadeguati e fragili per partite importanti per classifica o semplice ambiente, come è JuveMilan. Per Fabbri era la prima classica della vita ed è andato insieme, spinto nel buio anche da situazioni di campo e spalti che necessitano polsi saldi. Spinto anche dalla inconscia paura di scendere in relazioni complicate con l’unica società che davvero attualmente conta presso la Federazione Italiana Giuoco Calcio, via Allegri 14, Roma, dove si decide l’attività e la carriera dei fischietti. Detta società - a scanso di equivoci - non fa proprio niente di proibito, non ha proprio bisogno di dettare nulla, pressare, o telefonare come successo in passato: ci sono ottime relazioni con il designatore, stop. Fanno tutto da soli certi arbitri, scarsi tecnicamente e nella personalità, che fanno i duri solo quando non accettano che un occhio più efficace decreti che stanno sbagliando. E pensano di ribadire la propria autorità ribaltando scandalosamente la realtà, e con essa la Serie A. La Serie A dei Fabbri, sprofondante nell’Abisso.