La costruzione della nuova squadra passa dal mister: l'ex Roma insegna calcio e ha il carattere giusto per superare eventuali fischi
Klopp e Pochettino sbancano la Champions, Ten Hag rimane il nuovo che avanza, stasera Emery e Sarri cercano la finale di Europa League, in Italia Juve e Inter tirano per la giacca Antonio Conte mentre Allegri prepara la valigia per Parigi. La primavera 2019 del pallone gira attorno ai mister e proprio dal mister, da un mister, deve cominciare la costruzione del nuovo Milan.
La sensazione – non piacevole – è che a dispetto di una giubilazione di Gattuso decisa da tempo (almeno dal derby di ritorno), la dirigenza non si sia mossa con decisione su uno o più profili, rimanendo sospesa tra nomi di primissima scelta e candidati più facilmente raggiungibili appartenenti soprattutto alla sfera nazionale: ma si poteva immaginare dal principio che per più ragioni – non solo economiche – i vari Conte, Sarri, Pochettino non avrebbero indossato la tuta rossonera.
Guardando a una seconda fascia, sta emergendo come poteva essere prevedibile fin dal principio la figura di Eusebio Di Francesco, che per curriculum e caratteristiche è un candidato quasi naturale per la dimensione che ha e probabilmente avrà anche l'anno prossimo il Milan. La sollevazione popolare – leggi social network – che questa possibilità sta provocando pone però una immediata difficoltà a Leonardo e al club:: molti cuori rossoneri sono rimasti agganciati a una frase pronunciata dal tecnico nella primavera di tre anni fa, “non vado dove c'è confusione”, riferita a un eventuale approdo a Milano ventilato dalla stampa, ma soprattutto provocata da un giudizio secco di Silvio Berlusconi che lo definì un profilo “non adatto" a un Milan che, per la cronaca, stava per passare dalle mani di Mihajlovic a quelle di Brocchi.
A parte che se contestualizziamo la frase di Di Francesco in quel periodo, i fatti hanno ampiamente dato ragione a lui, il punto vero è che i tifosi dovrebbero valutare i fatti di un allenatore che non è andato bene nell'ultima stagione romana (nella quale, tuttavia, è andato a un passo dai quarti di Champions), ma che prima aveva centrato terzo posto e incredibile semifinale europea, e ancora prima aveva portato il Sassuolo a un'inedita qualificazione alle Coppe. Ma soprattutto Di Francesco, come in Italia è anche Giampaolo, è un insegnante di calcio, uno che punta al gioco migliorando i giocatori.
La sua capacità in particolare con i giovani è riconosciuta e al Milan ne troverebbe parecchi, di giovani, quelli già presenti e quelli che con ogni probabilità porterà il mercato low profile già annunciato da Leonardo. Inoltre, conta molto anche l'esperienza a Roma, in una piazza complicatissima, dove la pressione è continua: dal carattere molto forte (e anche duro), il tecnico abruzzese non si spaventerebbe ai primi fischi, ai primi sbuffi dell'assise milanista, che da parte sua dovrebbe fare lo sforzo di azzerare qualsivoglia pregiudizio.
Ha anche i suoi difetti, sicuramente, per esempio non è fenomenale quando si tratta di dovere modificare lo spartito base del suo gioco, impostato sul 4-3-3: ma come per qualsiasi allenatore, molto dipende dal materiale umano a disposizione. E lì, la palla tornerebbe nei piedi di Leonardo e Maldini, ammesso e non concesso che siano loro a occuparsi della campagna acquisti e cessioni, visto che in sottofondo, a Casa Milan, si percepisce qualche scricchiolio. Facciamo che tanto per cominciare, Di Francesco non debba dire no per lo stesso motivo di quella stizzita replica del 2016: è maggio inoltrato, c'è un progetto tecnico da realizzare, e la confusione è l'ultima cosa che serve.