Il virus potrebbe coagularsi sulla superficie delle particelle di particolato fine aumentando la diffusione
Oggetto di grande discussione negli ultimi giorni è l'ipotesi che, non tanto lo smog in generale, quanto il particolato fine agisca da “vettore” nel trasportare a più lunga distanza il coronavirus. Un documento ufficiale, un “position paper”, presentato dal professor Leonardo Setti dell’Università di Bologna ed altri, parla di una correlazione tra i superamenti dei limiti per il PM10 nelle centraline di alcune città e il numero di ricoveri da Covid–19.
È una ipotesi da verificare, importante sottolinearlo, ma il fenomeno alla base è noto e provato per altri fattori inquinanti. Si legge che "in relazione al periodo 10-29 febbraio, concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di impulso alla diffusione dell’epidemia in Pianura Padana". Pianura Padana che ricordiamo è l'area più inquinata d'Europa.
Non mancano i precedenti, come uno studio del 2017 in Cina che dimostrò un effettivo legame, sia pur limitato al 10,7 % dei contagiati, mentre una relazione sull'inquinamento dell’aria e la mortalità da SARS sempre in Cina (2002-2003) mostrava come il rischio di mortalità fosse amplificato – circa il doppio – nelle aree a più alto smog rispetto a quelle con qualità dell’aria migliore.
Ripetiamo che sono molti i fattori in gioco e non è possibile avere una certezza scientifica ma è un dato di fatto che l'inquinamento elevato e costante dell'aria sia peggiorativo nei casi di epidemie, amplificandone la diffusione, mentre è oggettivamente più vulnerabile una popolazione costantemente stressata da una pessima qualità dell'aria che respira tutti i giorni. E fa infine riflettere che in un periodo come questo, caratterizzato da un terribile elenco di dati divulgato ogni sera, l’ultima stima per l’Italia (dati 2016) riporta un totale di 76.200 morti dovuti all'inquinamento, la maggior parte (77% circa) legati al particolato fine (PM2.5).