Un incantesimo finalmente spezzato nella giornata perfetta del francese di Sicilia, iellato e amatissimo in anni durissimi per la Rossa
Il migliore compleanno possibile: è quello vissuto nel 1995 da Jean Alesi. Che l'11 giugno di 25 anni fa spense 31 candeline, ma soprattutto si prese la più grossa soddisfazione della sua carriera. A Montreal vinse il primo e unico Gran Premio della sua esperienza in Formula 1, al volante di una Ferrari che amava, ma che guidò in anni in cui il Cavallino proprio non ingranava. In Canada però fecero festa tutti i team in griglia, non solo la Rossa.
A metà degli anni '90 il sempre fedelissimo popolo ferrarista si era abituato a vivacchiare, accontentandosi di piccole e isolate gioie in anni in cui a dominare erano gli altri. La McLaren prima, la Williams poi e la Benetton infine, con il rosso relegato a una mera macchia di colore nelle posizioni di rincalzo. Puro blasone e poco più. Così, mentre i Senna, Mansell e Schumacher si prendevano i campionati, chi ama il Cavallino palpitava per un podio sgraffignato con le unghie, un'epica rimonta, un duello rusticano, un sorpasso da urlo. Magari un giro veloce isolato, o un'inattesa pole position. Erano anni di transizione, che posero le prime basi dell'epopea Schumacher. E che in qualche modo non ci fu nessuno che incarnò meglio di quanto fece Jean Alesi.
Nato ad Avignone con sangue siciliano nelle vene (di Riesi lato materno, di Alcamo lato paterno), Jean era un talento naturale intrappolato in un corpo minuto che faceva sembrare due pertiche i normolinei Ivan Capelli e Gerhard Berger, suoi due storici compagni di scuderia. E Jean si era caricato sulle spalle una Ferrari in piena crisi tecnica ed emotiva dopo il clamoroso abbandono di Prost nel 1991, prendendosi l'enorme responsabilità del 27 di Gilles Villeneuve sul cofano. Un testimone certamente non leggero, che onorò al massimo delle possibilità dell'epoca. Trovando il modo di scavare un solco nel cuore di una tifoseria quasi esasperata, ma che verso di lui sviluppò negli anni una sorta di venerazione.
Con quei profondissimi occhi celesti, Alesi manifestava tutta la sua passione e il suo sconforto, a seconda dei casi. Del resto il mondo si rese conto di lui (dopo il sensazionale quarto posto del debutto assoluto a Le Castellet, nel 1989) in una domenica di Phoenix, nella gara inaugurale del 1990, avendo subito un assaggio della sua tempra. In Arizona il semisconosciuto francese, allora alla Tyrrell, fece sudare fino al traguardo la vittoria a un certo Ayrton Senna. E sul podio, come sarebbe spesso avvenuto negli anni a venire, non liberò la propria gioia. Sembrava, anzi, scocciato. Perché sapeva che la vittoria gli era sfuggita per una questione di dettagli. E quello era il suo obiettivo.
Il cuore però prese spesso il sopravvento sulla ragione, nel corso della sua carriera. E così avvenne a metà dello stesso anno, quando stracciò un contratto già firmato con la Williams per coronare il sogno di una vita e accasarsi alla Ferrari. Ma mentre la Rossa arrancava, Jean vide quella maledetta monoposto blu, bianca e gialla dominare i campionati. Sapendo che, magari, sarebbe potuto toccare a lui. Determinato e ingrugnito, Alesi si mise in testa di risollevare la Ferrari con le sue mani (rigorosamente appoggiate sul volante alle 10:10, in posizione leggermente asimmetrica). Ci provò per esempio a Barcellona nel '92, quando sembrò volare sotto la pioggia e anche dopo essere precipitato nelle retrovie dopo un contatto con Berger riprese la sua missione, prendendosi un podio (per quegli anni) quasi leggendario. Da lì iniziò una specie di sortilegio: Alesi tirava fuori il 110% da quella fragilissima Ferrari, con tutto ciò che ne conseguiva. E così innumerevoli volte si ritrovò anche a comandare dei Gran Premi, quasi sistematicamente dovendoli abbandonare per i guasti più disparati.
Si diffuse la nomea di un pilota veloce, coraggioso e spericolato, ma con la tendenza a "strapazzare" la sua macchina fino a distruggerla. E Alesi davanti ai giornalisti sorrideva, difendeva team e vettura con le sue tipiche consonanti arrotolate, la voce nasale e qualche concessione alle più svariate scurrilità in italiano (tipiche del resto di chi parte dallo Stivale e cresce all'estero). Ma il suo sguardo tornava torvo ogni volta che saliva in macchina, salvo esplodere in sfuriate che divennero sempre più proverbiali ritiro dopo ritiro. E i guanti volati nel retrobox della Ferrari diventarono una spiacevole abitudine. Solo nel 1994 si interruppe l'incantesimo e il Cavallino tornò a vincere. Ma lo fece, a Hockenheim, con Berger e non Alesi.
Anche nel 1995 Alesi perse due podi certi in maniera sfortunata, in Spagna e Montecarlo, ma il destino era pronto a compiersi in Canada. Quell'11 giugno, a Montreal, Jean festeggiava 31 anni. E lo faceva in una città innamoratissima della Ferrari e soprattutto di quel Gilles Villeneuve la cui eredità era ormai diventata un autentico fardello dall'onore che era in origine. Alesi, partito quinto, fece il suo dovere. Evitò rischi (dietro di lui Hakkinen e Herbert si autoeliminarono al tornantino nel primo giro, davanti a lui Coulthard si insabbiò da solo dopo aver perso il controllo della sua Williams), poi andò a superare Berger e Damon Hill. Mancava solo Schumacher, agevolmente in testa. Ma stavolta il destino decise di premiarlo e rallentò proprio il Kaiser, costretto a ripiegare ai box per noie elettroniche al volante. Alesi si vide proiettato al primo posto e corse sulle uova gli ultimi giri, fino a tagliare il traguardo in trionfo. E il muretto esplose in festa non solo con gli uomini della Ferrari, ma con quelli di tutti i team in griglia. Una scena quasi unica.
Non mancarono ulteriori momenti folli in quella domenica. Come il pubblico che invase immediatamente la pista, mentre tutti gli altri piloti ancora dovevano tagliare il traguardo. Ne fece le spese Mika Salo, imbambolato a pochi centimetri dal traguardo e superato da Luca Badoer (con la direzione di gara che però non omologò il cambio di posizione). E soprattutto la Ferrari che rimase in panne, ancora una volta, nel giro di rientro. Stavolta per problemi di benzina. Ciò permise a Schumacher, quinto, di raccogliere Alesi e portarlo ai box a cavalcioni della Benetton per un autentico bagno di folla. Anche stavolta la Ferrari dei primi anni '90 gli aveva preparato uno scherzetto, senza però cancellare la meritata festa di Jean Alesi. Uno dei piloti più amati di sempre in relazione al numero di vittorie ottenute: una, appunto.