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IL RACCONTO

Accadde oggi: nel 1968 la morte di Jim Clark

Il 7 aprile di 52 anni fa lo scozzese volante perse la vita sul circuito di Hockenheim: resta uno dei più leggendari piloti di Formula 1 di ogni epoca

07 Apr 2020 - 09:44

Ci sono stati anni in cui essere un pilota automobilistico equivaleva a rischiare la vita ogni giorno in ogni curva. Epoche in cui la conta dei morti si aggiornava rapidamente: in diverse piste si correva in mezzo agli alberi in assenza di tutte le misure di sicurezza che gli appassionati vedono adesso. Erano anni in cui i piloti assomigliavano agli eroi e Jim Clark era uno di questi. Lo scozzese volante morì il 7 aprile 1968 sul circuito tedesco di Hockenheim, in una gara di Formula 2. La categoria maggiore era infatti in pausa: Clark aveva dominato con la sua Lotus l'appuntamento inaugurale di Kyalami (Sudafrica) ed era il netto favorito per il Mondiale, ammesso che la vettura costruita da Colin Chapman, progettista sempre alla ricerca dell'innovazione più geniale, non lo tradisse come troppe volte gli era successo in passato.

Quello di Hockenheim, appuntamento a cui Clark decise di partecipare all'ultimo momento, doveva quindi essere una sorta di allenamento in vista del Mondiale, che sarebbe ripreso il 12 maggio in Spagna. Ma le condizioni meteo resero quella gara una lotteria mortale: con la pioggia della notte la pista era ricoperta da un velo d'acqua e la presenza degli alberi a ridosso di un tracciato velocissimo come Hockenheim erano una minaccia quantomai reale. In più Clark montava gomme Firestone, che secondo gli addetti ai lavori dell'epoca non fornivano alcuna garanzia sotto la pioggia. Da alcune testimonianze di chi ha disputato quella gara, come Max Mosley (che sarebbe stato in futuro presidente della Fia), in pista si vedevano solo le cime degli alberi e l'unica maniera per guidare era seguirle, sperando di restare nel tracciato. Altri, come Chris Irwin, affermarono di avere davanti un muro d'acqua.

Appena iniziato il quinto giro, la Lotus andò fuori pista, sfondò la recinzione e si schiantò contro un albero. La monoposto si spezzò in due parti, il pilota morì praticamente sul colpo. La leggenda di Clark terminò beffardamente in una giornata che ricordava il clima della sua Scozia. Freddo, plumbeo, piovoso. La sua morte scioccò l'universo delle corse e fece il giro del mondo: la mancanza di immagini dell'incidente e la violenza dell'impatto (almeno 250 km/h) non permisero un'attendibile ricostruzione delle cause dello schianto. Si susseguirono le ipotesi più strampalate: un colpo di vento, un bambino che attraversò la pista, lo spegnimento improvviso del motore. Le ipotesi più probabili riconducono alla lenta foratura di una gomma e al cedimento di una sospensione. Secondo l'unico testimone oculare, la macchina non cambiò mai direzione e si spaccò all'altezza dell'abitacolo: è tutto quello che si sa sull'incidente, il resto è alimentato dal mito. La tragedia accomuna lo scozzese volante a un altro fuoriclasse sfortunato di questa disciplina, come Ayrton Senna, deceduto a Imola 26 anni più tardi. Morti bianche, nessuno ha mai pagato le colpe.

Relativamente a Clark, la Formula 1 perse non solo un due volte campione mondiale, ma una vera e propria leggenda. Antidivo, timido, umile al punto che la prima iscrizione sulla sua lapide è un semplice “farmer” (agricoltore), visto che la sua famiglia aveva quelle origini. Forse non il più grande intenditore di meccanica, ma erano anni in cui l'assetto di una macchina non era studiato a fondo e si cercava di costruire una vettura che stesse in strada su qualsiasi tracciato. In questo contesto, era chiaro che le qualità del pilota prevalevano su quelle della macchina, e lo conferma anche il fatto che dal 1962 al 1968 nessun compagno di squadra di Clark vinse mai una gara del Mondiale. Lo scozzese, campione nel 1963 e nel 1965, totalizzò 25 successi in Formula 1, a cui si devono aggiungere 18 Gran Premi non titolati, 32 podi e 33 pole position.

Ma i numeri, presi da soli, non danno mai la dimensione di un fenomeno. Vanno contestualizzati. Anzitutto, Clark vinse “solo” due Mondiali perché nel 1967 l'esordio della nuova Lotus 49 avvenne tardi (alcuni incolparono proprio la sua scarsa dote di sviluppatore), mentre nel 1964 il motore lo tradì a pochi metri dalla fine nell'ultima gara, quella del Messico. Inoltre, diversi episodi concorrono a mettere Clark nella leggenda a prescindere dal numero di vittorie: ad esempio, durante la gara di Monza del 1967, perse un giro per una foratura ma rimontò tutti e passò al comando, salvo poi accontentarsi del terzo posto per un errore nei condotti del carburante che lo fece arrivare al traguardo senza benzina. Il pubblico italiano lo portò comunque in trionfo. Oppure la vittoria del Mondiale 1965 nonostante avesse saltato Monte Carlo per correre e vincere la 500 miglia di Indianapolis. Tra l'altro con il motore posteriore, primo nella storia. Clark rimane tutt'oggi l'unico pilota nella storia ad aver vinto Mondiale di Formula 1 e la 500 miglia di Indianapolis nella stessa stagione.

Per quanto sia esercizio ozioso confrontare piloti di anni lontani, che si sono misurati in contesti differenti, con piste, vetture, regolamenti e avversari diversi, come impatto sulla sua epoca Jim Clark non ha probabilmente niente da invidiare a nessuno. E diversi storici lo piazzano lì, in cima, davanti anche a Senna, Schumacher, Prost, Hamilton, Ascari, Nuvolari, Fangio, Lauda, Stewart. Un sorpasso in punta di piedi, anzi di pedale, con “solo” due Mondiali: ma Clark l'antidivo non ha mai amato farsi notare.

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