Il sette volte iridato sottolinea analogia (tante) e differenze (poche) con il nove volte iridato del motociclismo.
di Stefano Gatti© Getty Images
Uno è a tutti gli effetti appena sceso di sella, l'altro fatica metaforicamente a rimanerci: Valentino Rossi e Lewis Hamilton, a loro ci riferiamo. E se il "Dottore" è impegnato nel primo impegno importante della sua carriera, il Re Nero "attende" di rimettersi in pari con Leclerc e Verstappen, magari già a partire dal prossimo GP d'Australia. Nel corso di un'intervista incrociata (a favore di sponsor), Hamilton "isola" il DNA dei campioni, senza fare distinzioni tra due e quattro ruote, di fatto annullando le differenze.
"Da bambino preferivo di gran lunga le moto ma secondo mio papà erano troppo pericolose, quindi ha finito per comprarmi un kart.... Beh, devo ammettere che la sua è stata una felice intuizione perché negli anni scorsi - con Valentino in giro e così a lungo - non avrei certo vinto tutto quello che ho vinto in Formula Uno! Però ho sempre tenuto in garage delle moto sportive, con le quali mi sono divertito, natruralmente al di fuori della stagione della Formula Uno. E devo dire che guidare una superbike in pista non è come guardarla in televisione. Senza dimenticare che il cross-test di qualche anno fa a Valencia (dicembre 2019, Lewis sulla Yamaha MotoGP, Valentino sulla Mercedes F.1, ndr) è stata una delle esperienze più indimenticabili della mia vita. In fondo, la nostra abilità comune - a questi livelli - è l'adattabilità a condizioni diverse. Certo, quando guido una moto in pista le traiettorie cambiano, come pure il punto di staccata e la velocità di percorrenza di una curva ma lo scopo finale è lo stesso: chiudere il giro nel minor tempo possibile. Siamo dotati di spirito di adattamento, ci viene tutto naturale. A me è successo anche quando ho avuto la possibilità di volare con un caccia...!"
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"La mia prima volta in assoluto è stata a cinque anni, in vacanza ad Ibiza. Eravamo in giro a dare un'occhiata a quello che l'isola offriva, abbiamo trovato una pista di kart e io ho provato a salirci sopra. Fin dal primo giro ho capito la tecnica di guida che poi ho utilizzato per tutta la carriera kartistica. Quindi... spirito di adattamento, oltre che un dono di natura. E poi, velocità nell'apprendimento. La mia famiglia non aveva la possibilità di finanziare la mia carriera. Provando molto meno dei miei avversari dovevo per forza imparare alla svelta. La stessa cosa si è ripetuta, in modo ancora più sostanziale, quando sono passato all'automobilismo dove i costi erano maggiori. Alla base di tutto però ci sono la passione e... la fame!"
"Nella vita di ogni giorno sono concentrato al cento per cento sul presente. In macchina invece devi sempre guardare avanti, oltre la prossima curva, anzi alle prossime due. Perché devi tenere conto delle differenti strategie e della loro evoluzione nel corso della gara. Devi pensare a come riuscire ad essere più efficace nella tal curva rispetto allo stint precedente. E poi tutto avviene velocemente: per noi al volante ed a maggior ragione per i nostri colleghi motociclisti, che stanno in pratica seduti sopra... un razzo!"
Quando arrivo in un circuito, io penso solo a scendere in pista. Però in altri momenti mi piace molto visitare la factory e - specialmente durante la pausa invernale - vedere come la macchina completa sia il prodotto del lavoro di tante persone. E la somma di tanti particolari, anche piccolissimi ed apparentemente insignificanti, che arrivano dai singoli reparti e vanno ad incastrarsi a perfezione uno nell'altro, fino al risultato finale".
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"Uno dei momenti che ricordo con più emozione è il mio primo test al volante di una monoposto della massima formula. Era l'epoca dei motori V10: ricordo il suo urlo nelle mie orecchie e ricordo di aver pensato: ce l'ho fatta per davvero! Penso che Valentino possa capire quello che intendo, perché proprio in quel periodo - quando alla Ferrari c'era Schumacher - lui ebbe l'opportunità di guidare la Rossa".
"Gente come me e Valentino ha un ruolo di responsabilità nel nostro sport e soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Per quanto mi riguarda, è quello che faccio con "Mission 44": cercare di creare delle opportunità di lavoro nel motorsport. A seconda del potenziale e della struttura, in una squadra di Formula Uno lavorano da un minimo di un migliaiodi persone fino a duemila e - come succede d'altra parte nel mercato del lavoro del Regno Unito - le minoranze e la diversità sono scarsamente rappresentate. Un sistema largamente ingiusto, a maggior ragione nello sport dei motori, che è un ambiente ricco, anzi molto ricco, nel quale tra l'altro i costi crescono anno dopo anno".