Il fine settimana di Losail ha (nuovamente) portato alla luce tutti i nervi scoperti della Formula Uno contemporanea
di Stefano Gatti© Getty Images
Da una parte la straordinaria fatica dei piloti a fine Gran Premio, dall'altra una lista infinita di "infringements" da parte degli stessi. La storia della Formula Uno e le storie, romanticismo se vogliamo e burocrazia per certo. La faccia migliore (e stravolta) del Mondiale e quella più cervellotica e destinata a peggiorare fino all'involuzione bella e buona. Nella diciassettesima tappa del suo cammino (l'epilogo in realtà, da qui ad Abu Dhabi è solo un'appendice), la Formula Uno ha offerto li meglio e al tempo stesso il peggio del proprio repertorio: tutto in una notte, la notte... dell'Oscar (Piastri), con buona pace di Verstappen che ha finalmente chiuso a doppia mandata la porta sulla questione titolo, proprio nel weekend che ha invece schiuso una finestra sul futuro, lasciando filtrare una ventata di aria fresca, anzi torrida: Piastri, ancora lui, con buona pace (di nuovo) per il suo compagno di squadra Lando Norris: un predestinato, sì ma al contrario. Queste però sono storie ulteriori. Ci sarà tempo e modo, anche solo da qui a fine stagione, prove generali di un futuro che assomiglia gà molto al presente.
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Vale invece la pena tornare sul recentissimo passato, sulle vicende del peggior Gran Premio della stagione, sotto molti punti di vista. Sulle sue vicende e sulle sue storie. Sì perché alla fine e a dirla tutta sono state le immagini (queste contano oggi, più ancora di ciò che sottointendono) dei piloti al termine del GP: Verstappen, Piastri e Norris sudatissimi e felici certo, ma più ancora Sargeant che chiede scusa al team ma deve proprio alzare bandiera bianca, il bistrattato Stroll che caracolla fuori dalla sua Aston Martin e si appoggia al finestrino dell'autoambulanza, Esteban Ocon alle prese con i conati di vomito e Fernando Alonso con le temperature bollenti dell'abitacolo dell'altra Aston. Scene che fanno parte della storia della Formula Uno. Ce lo ha ricordato Ivan Capelli dagli schermi di Sky. Ivan, un duro, uno che trentatré anni fa ha temerariamente guidato la Leyton House CG901, praticamente un cilicio con le ruote, nonché una delle prime creazioni di Adrian Newey.
Come ha più volte ribadito l'ex ferrarista, terminare un Gran Premio con i crampi, la nausea e al limite dello svenimento era un'eventualità da mettere nel conto: a suoi tempi e a maggior ragione prima dei suoi tempi. Ciò che comporta ammirazione per lui, per i suoi predecessori e quindi anche per Lance, Logan e per i tre del podio di Losail. Quando succede, è la storia della Formula Uno che si riaffaccia al presente e le restituisce una parvenza di sostanza che è invece sempre più minacciata dai tecnicismi e dalla burocrazia.
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Track limits, infrazioni, avvertimenti e reprimende: questi sì non fanno parte della storia della Formula Uno, non con questa abbondanza fuori da ogni logica, che sembra quasi segnalare difficoltà nel gestire il business stesso del Mondiale. Perché di questo ormai si tratta. Un weekend da correttivi continui, letteralmente in corsa, che restituisce il senso (si fa per dire) di una specialità prigioniera e anzi ormai preda di se stessa, della propria pretesa di perfezione e delle proprie contraddizioni: mai così malintesa e cervellotica. Per fortuna ci sono loro: Logan e Max, Lance e Oscar, Lando e Fernando. I piloti insomma, quelli che ci mettono il cuore e che - quando non ne hanno più - lo ammettono e si fermano. Ma solo questa volta. Sono loro l'anello debole e al tempo stesso fortissimo della catena, quelli che provano a tenere unito la componente umana della Formula Uno e la sua legittima aspirazione ad essere il non plus ultra del motorsport, cercando di far convivere le due anime del Mondiale.