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Andando a ritroso nel tempo (e nelle loro carriere): Nyck De Vries, Alexander Albon, Pierre Gasly, Daniil Kvjat. Si allunga con cadenza poco più che annuale la lista delle "vittime" di Dr. Helmut Marko. Il licenziamento della metà... perdente del contingente "orange" in Formula Uno da parte dell'ormai ottantenne superconsulente Red Bull per fare posto al rientrante Daniel Ricciardo sulla Alpha Tauri è solo l'ultimo di una "collezione" che negli ultimi vent'anni o quasi ha fatto piazza pulita di un buon numero di giovani promesse sedotte e poi abbandonate dal vivaio RB. La chiave di lettura non è necessariamente negativa e d'altra parte in Formula Uno c'è spazio solo per un ventina di piloti (titolari). Giusto così insomma e vale la pena ricordare come il "regime" instaurato dall'ex pilota austriaco (una decina di GP con la BRM all'inizio degli anni Settanta e la vittoria nella 24 Ore di Le Mans 1971 su Porsche insieme a Gijs van Lennep) abbia prodotto tra il 2005 e il 2022 ben sei titoli mondiali (con il settimo ormai largamente opzionato) con i soli Sebastian Vettel e Max Verstappen. V per vendetta insomma!
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La spietata selezione di Marko si è estesa negli anni anche ai talenti lanciati (e poi speso tornati indietro stile boomerang) sul satellite Toro Rosso (dal 2020 Alpha Tauri), con il preciso scopo di mettere alla prova le giovani promesse allevate nelle categorie minori. Da Jean-Eric Vergne e Sebastien Buemi (oggi entrambi veterani del Mondiale di Formula E) a Jaime Alguersuari e Christian Klien, da Scott Speed a Sebastien Bourdais.
Emblematico e clamoroso - noblesse oblige - il caso di Max Verstappen. Dopo il suoi primi ventitré GP del Mondiale (tutto quello del 2015 e il primo scorcio del 2016), l'olandese venne promosso nel team principale del "sistema" Red Bull con uno scambio tutt'altro che alla pari con Daniil Kvyat, vincendo all'esordio il Gran Premio di Spagna a Barcellona. Negli anni successivi (come Mark Webber lo era stato di Sebastian Vettel), "vittime sacrificali" di Max e di Marko sarebbero state Gasly e Albon. Regola puntualmente confermata negli anni, nei modi e nei tempi. Non manca nemmeno l'eccezione che, si sa, conferma la regola stessa e in questo caso ha nome e cognome: Sergio Perez.
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Il messicano "subisce" da due anni e mezzo. Era capitato grossomodo lo stesso a Ricciardo che - approdato nel 2014 in Red Bull al posto del connazionale Webber - vi sarebbe rimasto per cinque stagioni, la metà delle quali insieme a Verstappen, gestendo dignitosamente la scomoda coabitazione. Una volta intuita l'impossibilità di reggere il confronto con l'olandese però Daniel avrebbe optato per la McLaren, all'inseguimento di un un rilancio che non si sarebbe mai concretizzato, al di là dell'exploit vincente del Gran Premio d'Italia di due anni fa.
Un'evidenza ancora sotto gli occhi di tutti, l’inarrivabilità di Verstappen, della quale però Perez sembra curarsi poco o nulla. Rivedere Ricciardo di nuovo su una monoposto siglata RB e di nuovo al fianco di SuperMax sei anni dopo è un'ipotesi più che valida per il 2024, ma segnalerebbe l'impasse di una scuola - lo Red Bull Junior Team - che ha nel due volte (quasi tre) campione olandese la sua massima espressione di sempre e al tempo stesso il suo più grande limite attuale.
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