Il pilota austriaco compie 70 anni e Stefano Gatti ce lo racconta
Se Jackie Stewart ha inventato la figura del pilota di Formula Uno moderno, Niki Lauda ha… perfezionato l’arte e da lui “discendono” a vario titolo tutti i campioni che – fino ad oggi - lo hanno seguito nell’albo d’oro del Mondiale. A partire naturalmente da Alain Prost che di Niki è stato compagno di squadra (ed evidentemente ottimo allievo) alla McLaren e con la sola eccezione di Ayrton Senna, forse l’unico a fare qualcosa di diverso, di superiore.
Ma questo è solo uno dei buoni motivi per rimarcare l’ennesimo traguardo tagliato da Lauda: quello dei settant’anni. Tre titoli iridati: i primi due con la Ferrari, inframezzati dall’incidente del Nuerburgring. Ma se il primo rimane leggendario ed il secondo lo è almeno altrettanto, cosa dire del terzo? Niki si era ritirato sul finire del Mondiale del 1979 (quando guidava la Brabham) per dedicarsi alla sua compagnia aerea e per poi rientrare in Formula 1 nel 1982 con la McLaren, mettendo appunto a segno il terzo titolo nel 1984, a sette anni di distanza dal secondo.
Una grandissima impresa, considerando i cambiamenti intervenuti nel frattempo: il vero segno della grandezza di Niki. Insieme allo straordinario rientro a Monza nel 1976, una quarantina di giorni dopo il Nuerburgring. I segni del fuoco ancora evidenti sul corpo ma un’anima inviolata ed inviolabile. Parafrasando una notissima citazione riguardante Winston Churchill verrebbe da dire che, quarantatre anni fa, Niki mobilitò il suo coraggio e le sue paure e le spedì in battaglia. Facendone le uniche armi necessarie per vincere ancora in pista e per fare poi fronte agli inevitabili acciacchi del suoi splendidi settant’anni.