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LA RICORRENZA

Una vita in corsia di sorpasso: gli ottantacinque anni di Mario Andretti

Il campione italoamericano ha vinto il titolo iridato con la Lotus ma è stato anche una bandiera di Ferrari e Alfa Romeo

di Stefano Gatti
28 Feb 2025 - 08:33
 © Getty Images

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"Se hai tutto sotto controllo, significa che non stai andando abbastanza veloce".

Parole, ma soprattutto opere (leggi: vittorie) di Mario Andretti che - venerdì 28 febbraio chiude il secondo mese del 2025 festeggiando - il suo ottantacinquesimo compleanno. Come si usa dire in questi casi un traguardo di tutto rispetto e al tempo stesso semplicemente un giro in più sul circuito della vita completato per il secondo e ultimo campione del mondo statunitense di Formula Uno e l’unico in vita dopo la scomparsa - avvenuta ormai diciassette anni fa - di Phil Hill, che si era laureato campione diciassette anni prima, nel lontano 1961.

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Emigrato negli USA (dopo un passaggio in un campo profughi a Lucca) in seguito all'esodo giuliano-dalmata (noto anche come esodo - forzato -degli italiani d’Istria) iniziato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Mario è stato in seguito naturalizzato cittadino statunitense ma non ha mai perso le sue radici italiane e più significativamente ancora la sua italianità più profonda. Fino ad arrivare all'apice della sua carriera da "eroe (sportivo) dei Due Mondi: la conquista del titolo iridato del 1978 con la Lotus wiing car ad effetto suolo, al termine di una stagione segnata dalla scomparsa del suo compagno di squadra Ronnie Peterson a causa delle conseguenze dell’incidente al via del Gran Premio d’Italia a Monza di ormai quasi mezzo secolo fa.  

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Nel campo del motorsport, come detto sopra, la sua figura non ha mai perso smalto con il passare degli anni. Tanto è vero che, uscito di scena dal progetto il figlio Michael (non gradito all'attuale establishment della Formula Uno), Mario fa parte - seppure con un ruolo fondamentalmente onorario - del consiglio d’amministrazione del Cadillac Formula 1 Team che farà l’anno prossimo il suo ingresso nel Mondiale come undicesima squadra al via, con monoposto per almeno due stagioni spinte dalla power unit Ferrari.

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Mario festeggia insomma l’ottantacinquesimo anno di una vita vissuta tutta in corsia di sorpasso, di grande riscatto umano e successo sportivo ma non certo priva di passaggi dolorosi, come la scomparsa della moglie Dee Ann nel 2018 e quella del fratello gemello Aldo alla fine del 2020, esattamente undici mesi dopo la morte di suo figlio John (nipote di Mario). Patriarca o per meglio dire capostipite di quella che viene considerata (insieme agli Unser) una delle due più importanti dinastie da corsa degli USA, "Piedone" (uno dei suoi nicknames più gettonati) ha visto i suoi figli Michael e Jeff nonché il nipote Marco (figlio di Michael, tre generazione di Andretti!) seguire le sue tracce, anche se con successo decisamente più limitato, anche se Michael ha raggiunto la Formula Uno, facendo squadra con Ayrton Senna nel 1993 alla McLaren. Senza dimenticare che gli stessi Aldo e John sono stati piloti da corsa.

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Chi scrive ha un ricordo misto di affetto, stima e riconoscenza per Mario Andretti, anzi due. Lo incontrai la prima volta nel 1981 nel corso di una sessione di prove libere a Monza in vista del Gran Premio d’Italia. Mi avvicinai con esitazione per chiedergli un autografo, a pochi passi dal cancello d’accesso alla pista, proprio davanti all’uscio della vecchia Direzione Gara. Mario vestiva la tuta biancorossa dell’Alfa Romeo e di quell’incontro ricordo la sensazione di avere di fronte un gigante, in tutti i sensi. Mi trovai di nuovo a tu per tu con lui quasi nove anni dopo (da giornalista questa volta) a Portland in occasione di una prova del campionato Indycar del 2000.

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Andretti aveva a quel punto chiuso la sua carriera da pilota a tempo pieno. Gli chiesi un’intervista che lui mi concesse - sotto la tenda hospitality del team diretto da suo figlio Michael - a patto di… condurla rigorosamente con il suo inconfondibile italiano deliziosamente e quasi musicalmente contaminato dall’American English! In questo caso l’immagine che conservo è quella di un uomo minuto, quasi un buon nonno di famiglia. Ma la… statura era rimasta quella di nove anni prima: la statura del campione.

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Secondo campione del mondo di F.1 per gli Stati Uniti, Mario Gabriele Andretti da Montona (oggi Motovun, in Croazia) imitò il californiano Hill a diciassette anni di distanza: nel 1978 al volante della straordinaria Lotus 79 wing car, incollata a terra dalle minigonne e dal ground effect. Dodici vittorie in carriera, diciotto volte in pole position, in dieci occasioni autore del giro più veloce in gara, Mario ha preso il via di 128 Gran Premi validi per il Mondiale tra il 1968 e il 1982. Lotus, March, Ferrari, Parnelli, Alfa Romeo e Williams le monoposto da lui portate in gara in ordine cronologico, con alcune doverose sottolineature.

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Se con le monoposto di Colin Chapman Mario ha mosso i suoi primi passi (un po’ incerti) alla fine degli anni Sessanta, è stato solo nel suo secondo passaggio nel team di Norfolk che si è tolto le più grandi soddisfazioni della sua carriera. E se le esperienze con March e Williams ad inizio e fine carriera nel Mondiale sono state episodiche e ininfluenti, come nel caso della Lotus c’è stato per Mario un primo ed un secondo tempo anche con la Ferrari: ancora una volta a singhiozzo in entrambi i casi ma affatto irrilevanti.

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Andretti ha vinto il suo primo GP nel 1971 al volante della Rossa e che con la Scuderia di Maranello è stato protagonista di un emozionante ritorno nel Gran Premio d’Italia del 1982 a Monza, conquistando una clamorosa pole position e il terzo gradino del podio dietro al vincitore René Arnoux (Renault) e al proprio compagno di squadra Patrick Tambay (scomparso alla fine del 2022), senza poi riuscire a ripetersi nella successiva tappa nel... parcheggio del Caesar's Palace di Las Vegas, epilogo di un Mondiale drammatico per la Scuderia di Maranello, segnato dalla scomparsa di Gilles Villeneuve a Zolder e dal gravissimo incidente di Didier Pironi (che Mario sostituì appunto a fine stagione) sulla pista tedseca di Hockenheim, cosiccome Tambay aveva preso il posto di Gilles.

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Non è però legato solo al Cavallino Rampante il legame sportivo di Mario con il suo Paese d’origine: Andretti ha corso nel Mondiale anche per l’Alfa Romeo (1981) e non bisogna nemmeno dimenticare i suoi trascorsi (in alcuni casi vincenti) con le due Case italiane nel Mondiale Prototipi tra la metà degli anni Sessanta e quella degli anni Settanta.

© Firestone Racing

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Quanto al Paese che lo ha accolto dopo aver dovuto abbandonare la natia Istria, Mario ha corso con discreti risultati per il team USA Parnelli in Formula Uno tra la fine del 1974 e l’inizio del 1976. A proposito, titolo iridato del 1978 a parte, è stato proprio negli Stati Uniti d’America che Andretti ha fatto incetta di vittorie, aggiudicandosi quattro titoli con le monoposto tipo Indy (USAC 1965-1966-1969, CART 1984) e lo storico successo nella 500 Miglia di Indianapolis del 1969 al volante della Brawner Hawk Ford del team di Andy Granatelli, curiosamente (e storico prima di tutto per questo) rimasto l'unico della famiglia Andretti - nonostante l'abbondanza di candidati e... tentativi - nella corsa del Memorial Day. E allora, a proposito di giorni memorabili e per tornare all'inizio:

Happy Birthday, Mario. Anzi, Buon Compleanno!

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