Il successo di San Paolo è l'impresa assoluta che ancora mancava alla sua già straordinaria collezione
di Stefano Gatti© Getty Images
Come Lewis, più di lui, Max Verstappen ha reso onore a Senna nella terra di Senna con una performance di quelle che trenta e più anni fa hanno reso Ayrton il mito che è ancora oggi. Finalmente "d'accordo", Max e il suo predecessore nell'albo d'oro del Mondiale: Hamilton più consapevolmente ed emozionalmente, portando in pista prima del Gran Premio del Brasile la meravigliosa McLaren MP4/5B guidata da "Magic" nel 1990, Verstappen badando invece - obbligatoriamente - alla sostanza, mettendo di fatto sotto chiave con la vittoria a San Paolo il quarto titolo consecutivo. Quello che, dopo aver fatto pari l'anno scorso con lo stesso Senna (oltre che con Brabham, Stewart, Lauda e Piquet), gli permetterà di affiancare Alain Prost e di incamminarsi eventualmente verso il podio all-time, occupato da Juan Manuel Fangio (cinque titoli) e più su ancora dallo stesso Hamilton e da Michael Schumacher a quota sette.
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Un passo (e un titolo) alla volta, casomai e sempre che Max - non ci sorprenderebbe affatto - non decidesse di lasciarsi alle spalle tutto il carrozzone del Mondiale (a volte, come lo scorso weekend a San Paolo - non sembra molto più di questo) per dedicarsi ad altro, magari anche solo ai suoi amati e-sports. In questo, Max è davvero figlio dei nostri tempi, pur restando inevitabilmente ancorato alla storia delle corse, nonché erede di una genia di campioni assoluti trasversale alle epoche, alle mode e ai regolamenti.
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Non significa nulla la sequenza di giri veloci in pista, non conta solo quel primo giro stile Senna '93 a Donigton, nemmeno la rimonta da fondo griglia: ciò che smonta e rimonta il fenomeno Verstappen nel giro di un pomeriggio (e in via definitiva) è quell'unico sorpasso ideale che Max opera ai danni di quella che era la diffusa considerazione altrui nei suoi confronti: un pilota fortissimo che però domina il campo grazie ad un mezzo superiore alla concorrenza. Qualcosa che in fondo attiene alla storia stessa del motorsport (a quattro e a due ruote) e al tempo stesso uno snodo-chiave in quella personale dei suoi più grandi protagonisti di ogni tempo.
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La sua dimostrazione di classe nel Gran Premio del Brasile di quest'anno vale da sola quasi quanto tutte le sessantuno che l'hanno preceduta. Quantomeno le riassume e le comprende, in ogni caso più di esse fa storia e ci restituisce la vera dimensione di un campione che quest'anno ha dimostrato di saper soffrire in pista e fuori, puntando i piedi (sul gas e non solo), tenendo assieme e spingendo tutta la squadra, tenendola di fatto a galla in mezzo alle tempeste (e non parliamo di quelle del recentissimo weekend brasiliano). Proprio come avevano saputo fare Senna ai tempi della Lotus e della McLaren e Schumacher alla Ferrari. Il senso del successo di San Paolo e ciò che distinguerà il suo quarto titolo dai tre precedenti è proprio questo. Lui non ne sentiva l'urgenza, tantomeno la mancanza. O forse sì e questo potrebbe renderlo ancora più forte e temibile. Più determinato ancora nelle sue risoluzioni, magari anche quelle più clamorose.
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