Intervista allo chef tristellato: "Sono tifoso rossonero, speravo molto in Conte. E quando vedo gente che cammina in campo..."
di Antonella Pelosi© Ufficio Stampa
Congratulazioni per la terza Stella Michelin
"È come aver vinto la Champions. Se fosse una Nazionale sarebbe un campionato del mondo. Ci sono io ma se non avessi i miei collaboratori sarebbe un po' complicato, è un grande gioco di squadra. Quando siamo arrivati qui ho detto ai ragazzi che dipendeva tutto da noi se volevamo raggiungere i traguardi prefissati. Questo posto ha dato una forza incredibile al gruppo per il vissuto che ha. E adesso c’è tanto da fare. La gente viene qui e ha delle aspettative e poi la terza stella bisogna mantenerla".
“Questo posto” e “Qui” è il ristorante 'Casa Perbellini 12 apostoli' di Verona, dove lo chef Giancarlo Perbellini ha conquistato il prestigioso riconoscimento, l’ennesimo di una lunga carriera che lo ha eletto tra i massimi esponenti della cucina di eccellenza in Italia e nel mondo. '12 apostoli' è un’insegna che ha 275 anni e che Giorgio Gioco, maestro e custode della tradizione culinaria veronese, ha portato al successo. Nel 2023 chef Perbellini, che di Gioco è stato allievo a vent’anni, lo ha rilevato e riportato ai fasti di un tempo.
Abbiamo incontrato chef Perbellini nel suo 'tempio', cercando di far dialogare il suo mondo con quello dello sport, il calcio in particolare, di cui è appassionato (oltre al ciclismo).
Un personaggio sportivo che inviterebbe nel suo ristorante?
Michel Platini, perché viene da una cultura di gastronomia e mi piacerebbe confrontarmi con lui. Ma inviterei qualsiasi numero 10. Come Roberto Baggio, che è venuto nel mio ristorante entrando dal retro e con cui ho avuto la fortuna di palleggiare. È stata una grande emozione. Degli sportivi del passato dico Rivera, l’ho visto da piccolo ma non ho ricordi e tutti dicono che era un grandissimo campione.
Che cosa preparerebbe a Platini o a Baggio?
A Baggio chiederei di portare qualche beccaccia visto che è un grande cacciatore. A Platini farei un raviolo con il latte cagliato, caramello di zafferano e foie gras. Perché è un piatto italiano che incontra la Francia.
È tifoso di qualche squadra?
Il Verona è la squadra della mia città, Elkjaer e Briegel ci hanno fatto vivere dei momenti incredibili. Ero a Udine quel febbraio dell’85 quando vincevamo 3-0, ci hanno raggiunto sul 3-3 e poi abbiamo vinto 5-3. Poi sono tifoso del Milan.
Quale ingrediente manca a questo Milan?
Ne manca più di uno. Secondo me manca un visionario nel metterli in campo. Non capisco la scelta. Il Milan aveva bisogno di qualcuno che avesse un carattere diverso e che fosse un condottiero. Io speravo molto in Conte. In squadra manca qualcuno che costruisce, poi sono esterrefatto di fronte a personaggi che camminano per il campo… Lì il talento è lasciato andare. Theo Hernandez ha alti e bassi e può succedere nella vita di un calciatore. C’è qualcosa che non funziona all’interno della squadra. Ibra? In campo era quello che era, adesso non so se sia la persona giusta nel posto giusto.
Abbini cinque suoi piatti a cinque squadre: cominciamo dal Milan
Per il Milan dico il bollito di pesce.
Inter?
Mi piace vederla giocare, ha un grande condottiero che ha fatto bene anche alla Lazio e quindi il manico è buono: dico ‘pavesino di capesante’ perché è croccante, ha grande persistenza e un po’ di acidità.
Atalanta?
Spuma di patate e bottarga perché con due ingredienti è uno dei piatti più importanti che abbiamo fatto ed è il massimo della semplicità: più lo mangi e più lo mangeresti. È un piatto che facciamo sempre.
Juve?
Per la Juve propongo un dolce-amaro: uovo in camicia con la spuma di birra e caffè. Un grande piatto cui non siamo mai riusciti a dare continuità.
Napoli?
Dico il mio spaghetto al pomodoro perché è un piatto generoso, di soddisfazione e di felicità. Mi dà fastidio quando qualcuno esce dal ristorante e non è felice. Qualche volta succede. Il buono è buono per tutti, il cattivo è buono per qualcuno.
"Prediligo la semplicità del piatto all'estetica". Meglio una giocata semplice ma efficace o una giocata bella da vedere ma fine a se stessa?
Se parliamo di ciclismo, la grande salita resta negli annali anche se poi vieni ripreso. Nel calcio è diverso perché se una grande giocata non serve a raggiungere l’obiettivo lascia meno il segno. Ci vuole il connubio tra la grande giocata e il risultato. La semplicità è una cosa difficile da ottenere, soprattutto in cucina è cosa per pochi. Per tirare fuori emozioni da poche cose bisogna manipolarle bene. Semplicità è fare un piatto con due, tre ingredienti, rispettarlo e valorizzarlo.
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E sempre perché lei ama il calcio e apprezza i campioni, qual è la specialità di chef Perbellini? In cosa è davvero bravo?
In cosa faccio le gare? Nella bisque di scampi. Io sulle salse di carne ho le mie lacune. Fino a una certa età non avevo mai considerato la pasta di semola nei miei ristoranti, solo quella all’uovo fatta da me. Poi ho cominciato ad andare spesso al sud e ho cominciato a frequentare Napoli…
Impegno, dedizione, passione e rigore: così ha descritto la sua cucina. Parole che possono valere anche per uno sportivo. Il talento quindi non basta... E in cucina in cosa consiste il talento?
No, non basta. Vale nel calcio ma anche in cucina. Non faccio nomi ma ne ho visti tanti con il talento che si sono persi. In cucina il talento per prima cosa è il gusto, la sapienza di mettere insieme sapori e ingredienti. Non tutti ce l’hanno, qualcuno ci arriva. Il talento si coltiva e qui subentra la passione e la dedizione.
È uno sportivo?
Adesso sono solo di palestra e running. Fino a otto-nove anni fa giocavo con la nazionale ristoratori di calcio ma poi ho smesso perché non sai mai chi ti trovi di fronte. In una partita ho saltato un avversario che poi mi è corso dietro e mi ha sgambettato. Mi sono tolto fascia e maglietta e gli ho detto “Domattina devo andare a lavorare”. Dopo l'operazione all'anca gioco con i ragazzi in cucina che sanno che mi devono lasciar stare. La penultima volta però ho dovuto far fischiare prima la fine perché altrimenti si presentavano in cinque…
Da poco i ’12 apostoli’ sono diventati ‘13’ con il debutto del suo podcast in cui racconta aneddoti di alcuni dei tanti personaggi passati per il ristorante. Qualche sportivo?
Gianni Brera alla fine di un 90° minuto, dopo aver commentato una partita, disse: “E adesso rispondo al mio amico Giorgio Gioco”. Lui sosteneva che la pearà (salsa veronese dei bolliti, ndr) non fosse una salsa veronese ma di Pavia. Tazio Nuvolari arrivava con una macchinetta che sentivano da lontano e riusciva a salire su un carretto restando in equilibrio. Qui conobbe Gabriele D’Annunzio, che in una visita al Vittoriale gli regalò una tartaruga d’oro. Da quel momento per Nuvolari diventò un talismano: pochi giorni dopo stravinse, aggiudicandosi in Sicilia la Targa Florio. D’Annunzio era un grande tifoso di Nuvolari ma non lo conosceva: il ristorante li ha fatti incontrare. Gino Bartali una volta sentì dire a un tavolo vicino: “Se perdo la scommessa faccio il Pordoi senza mani”. Lui si alzò, guardò chi pronunciò questa frase e gli disse: “Forse non fai neanche il primo tornante”.
"Bastano tre elementi per fare un grande piatto, riuscirci è sempre una sfida". Le sue sfide le ha sempre vinte?
No, ne ho persa qualcuna. L’importante è non farsi del male.