Paolo, papà del pilota morto in pista a Sepang il 23 ottobre 2011, racconta IN ESCLUSIVA le attività della Fondazione che porta il nome del figlio. E che il 20 ottobre apre un centro dedicato ai ragazzi disabili
Il 20 gennaio Marco Simoncelli avrebbe compiuto 32 anni. Per celebrare e ricordare il pilota morto in pista durante il GP della Malesia il 23 ottobre 2011, la Fondazione che porta il suo nome inaugura, proprio nel giorno del suo compleanno, "Casa Marco Simoncelli". E' una struttura a disposizione delle famiglie con ragazzi disabili, a Coriano, in provincia di Rimini, il paese natale del Sic. "Un sogno che diventa realtà", come racconta in esclusiva Paolo, il papà di Marco, che assieme alla moglie Rossella e a Kate, la fidanzata del Sic, ha creato e porta avanti la Fondazione.
"Non sono una persona straordinaria, sono solo un padre disperato", racconta Paolo. "La Fondazione è nata subito dopo il 23 ottobre. Sono stato costretto perché siamo stati subissati di donazioni e quindi ci siamo messi al lavoro", spiega guardando le foto, le moto, i caschi e i cimeli che riempiono il museo dedicato al Sic, a Coriano. "Marco era un ragazzo semplice e mi piace il fatto che nei giovani abbia lasciato quella voglia di inseguire un obiettivo, un sogno": perché Marco era felice e questo, dice Paolo con gli occhi lucidi, permette a lui e alla moglie di non avere rimpianti. "Però sono proprio arrabbiato con Dio perché quella che ci è successa è la cosa più ingiusta del mondo: i figli non dovrebbero mai morire prima dei genitori, è contro natura", sussurra.
Paolo però non si arrende e con la Fondazione Marco Simoncelli si dedica ai ragazzi disabili, a tutti coloro che possono avere bisogno di un aiuto: "Speriamo che il nostro centro possa farli stare meglio, renderli felici. Qui avranno tutto a disposizione per trascorrere le loro giornate e anche per fare riablitazione e fisioterapia", racconta. E a proposito di persone straordinarie, Paolo pensa proprio alle famiglie di questi ragazzi: "Vedere come curano e coccolano i loro figli, disabili magari fin dalla nascita, mi fa pensare che i veri eroi della vita siano loro, non noi".
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