La stella di Marco non si è mai spenta
Non è una ferita che si riapre, per il semplice fatto che non si è mai chiusa. Dieci anni, si dice che il tempo guarisce tutto, ma non è proprio vero. Le persone che si trasformano tragicamente in leggenda il tempo lo fermano, l’istante terribile si fissa e rimane lì, in testa e nel cuore, mentre il violento pugno allo stomaco arrivato all’improvviso lo risenti come se lo avessi preso di nuovo. È il segno del Sic, che il 23 ottobre del 2011 volò via in diretta planetaria, il peggiore degli incubi una tremenda realtà che si dipanava minuto dopo minuto facendo pian piano svanire l’illusione che sì, Marco si sarebbe ripreso e avrebbe detto “Diobò, che botta!”.
È memoria viva, di quella grigia domenica e dei giorni seguenti, il funerale con migliaia di persone a Coriano e milioni davanti alla TV, l’ultimo saluto che da dolore lancinante già cominciava a trasformarsi in una nostalgia che non avrebbe più abbandonato chi lo conosceva, chi lo amava, chi solamente lo apprezzava. Dieci anni e siamo ancora qui a chiederci cosa avesse fatto di speciale Marco Simoncelli per rendere la sua assenza sempre presente, riccioli, sorriso e 58 che riaffiorano di continuo. La risposta forse non esiste, ma se la vogliamo cercare a tutti i costi, è probabilmente nel semplice fatto che il Sic sia venuto al mondo, un po’ come un fenomeno naturale che lascia stupiti. Eccezionale nella sua semplicità, carriera complessa e non premiata abbastanza, spessore umano che aumentava il valore di ogni contatto, l’abbraccio vero che trasmetteva la gioia dell’incontro. Quando Paolo Beltramo diede in diretta l’annuncio della morte, pensammo che si era spenta una stella, ma in questi 10 anni, una luce c’è sempre stata, più o meno vivida a seconda dei momenti, e sempre ci sarà.