Il passaggio del Motondiale sotto l'egida Liberty è destinato a scuotere dalle due fondamenta il motociclismo come lo conosciamo oggi
di Stefano Gatti© Getty Images
Per la forma si tratta solo di attendere fino al GP of the Americas del secondo weekend di aprile, la sostanza però è già tutta nel piatto. Liberty Media raddoppia e punta a ripetere con l'acquisizione della MotoGP dall'attuale organizzatore Dorna (e dai suoi proprietari), l'operazione già a buon punto con la Formula Uno: rilanciata, rinnovata, in un certo senso ripulita da ormai un decennio a questa parte. Poco utile dilungarsi sul rischio-monopolio (doverosamente di competenza dell'autorità antitrust). A noi preme in questa sede provare ad immaginare un paio di possibili effetti del passaggio della premier class e delle sue "ladder series" Moto2 e Moto3 sotto l'egida Liberty a medio e lungo termine. Che è poi l'arco temporale sul quale operazioni di questo genere e di questa portata insistono. Stiamo parlando (anche provocatoriamente) di una "sprovincializzazione" su più piani del movimento motociclistico. Che rischia sì di snaturarne l'essenza ma - occorre riconoscerlo - secondo linee-guida che fanno parte del gioco, anzi del business. Che ci piaccia oppure no.
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Andiamo al punto. La presa del potere da parte degli americani di Liberty Media potrà mettere quantomeno un argine alla visione eurocentrica che ha portato Spagna e (ahinoi) Italia soprattutto a riempire le griglie di partenza e a fare incetta di titolo negli ultimi due decenni, lasciando solo le briciole alla scuola britannica e nordamericana che (with a little help from Australia) aveva contraddistinto il ventennio precedente (gli anni Ottanta e Novanta).
Con l’introduzione della MotoGP al posto della 500 (agli albori del XXIesimo secolo) e limitandoci alla premier class stessa, gli unici titoli iridati conquistati da piloti extraeuropei portano la firma del compianto Nicky Hayden nel 2006 con Honda e di Casey Stoner (2007 con Ducati, 2011 con Honda). Per il resto - e senza loro togliere una briciola di merito - spazio alla saga di Valentino Rossi, al regno di Marc Marquez, al tris iridato di Jorge Lorenzo e ai colpi singoli di Joan Mir e Fabio Quartararo, per finire con il recente uno-due di Francesco Bagnaia.
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Preceduti dai successi di Barry Sheene e Kenny Roberts, negli anni Ottanta a dominare la scena erano stati gli statunitensi Freddie Spencer, Eddie Lawson, Wayne Rainey e Kevin Schwantz e gli australiani Wayne Gardner e soprattutto Michael Doohan. Certo, non stiamo dimenticando le griglie poverissime (rimpinguate solo da qualche comprimario dalla grande passione ma dal limitato talento) dei primi anni Novanta, però la memoria di quegli anni grida ancora vendetta e guardiamo con grande aspettative ad nuovo corso che apra ad una élite mondiale nel vero senso del termine: la scuola americana e anglossasone contro quella europea. E poi vinca il migliore come - salvo cicli particolari - è più volte accaduto... nel secolo scorso.
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Il secondo effetto "sperabile" dall'ingresso in pista di Liberty Media nel motociclismo è una diretta conseguenza del primo e riveste un carattere se vogliamo più culturale, di emancipazione di un ambiente che su una certa ristrettezza di vedute ha prosperato, pagandone però le conseguenze sulla distanza. Basti pensare (ma è solo l'esempio più evidente) alla visione "perdente" che ha portato tanti talenti di casa nostra a provare a crescere ad immagine e somiglianza del fenomeno Rossi... senza essere Valentino. Tanto è vero che l'unico pilota italiano a vincere il titolo della premier class dopo il Dottore è stato Bagnaia, il meno valentiniano dei nostri: cresciuto nella VER46 academy ma assimilandone "solo" gli insegnamenti di più lunga durata, schifando mode e modi, pose e atteggiamenti. Ma, lo ripetiamo, questo è solo un esempio: il più virtuoso ed efficace.
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