Il dolore è ancora vivo per la tragica morte di un ragazzo che non è riuscito a diventare uomo
Se è vero che il tempo guarisce le ferite, è anche vero che le cicatrici sono qui a ricordarci quanto le ferite siano state dolorose. Sono passati sette anni e quando arriva il giorno della maledetta domenica di Sepang la cicatrice si risveglia, prude, brucia, oggi ancora di più perché proprio qualche giorno fa ricordavamo con gioia e rimpianto un’altra giornata sulla pista malese, 10 anni fa, quella del titolo conquistato in 250 con la Gilera, con i festeggiamenti in circuito e poi, la sera, con quella battaglia di gavettoni che in un ristorante di Kuala Lumpur ancora si ricordano.
Sic nella mente e nel cuore per sempre, non riescono ad andare giù sul fondo della memoria gli anni belli di Marco, vissuti intensamente dentro quella passione senza misura che poi è stata anche crudele esattrice di morte. L’unica medicina che dà sollievo è richiamare uno dopo l’altro i file di giorni pieni di sport e umanità, sorrisi e delusioni che stavano formando un ragazzo che non è riuscito a diventare uomo, fermato alla curva 11 del Sepang International Circuit (SIC) in un pomeriggio caldo, afoso e grigio, perché quel giorno il sole non se la sentiva di illuminare la scena.