Tutta la verità sul Gp di Germania
Chi corre nell’endurance lo sa: le strategie si elaborano anche durante la corsa, perché 24 ore sono infinite e tutto può cambiare rispetto ai piani. La comunicazione ? Il pilota lo fa con la mano sinistra, gesticolando rapidamente, mentre dai box usano le tabelle dei tempi riportando informazioni concordate prima del via, anche se, in casi estremi, si improvvisa e si spera nell’intuito di chi è al manubrio. L’intesa pilota-team deve essere perfetta. Perdonatemi se prima spendo due righe per un aneddoto personale, che ho considerato un’esperienza capace di aprirmi la mente durante la prima gara di mondiale endurance e che vorrei vi fosse utile per comprendere ciò che abbiamo visto domenica. Un po’ di anni fa, a fianco al mio box, c’era il blasonato Team Bolliger Kawasaki coi piloti che prendevano 2-3 secondi al giro da noi, tanto da far dubitare sul livello della squadra svizzera. Loro però fecero podio (e tracciarono la storia nelle gare di durata) e noi no. Il motivo ? Avevano una formidabile strategia nei pit stop, un gran bel metodo di lavoro e la perfetta sintonia nel box. Nulla era lasciato al caso, anche l’attrezzatura per gli interventi sulla moto era organizzata per consentire ai meccanici manovre più rapide: cacciaviti, chiavi inglesi, brugole, tutte disposte ordinatamente in base alla sequenza di utilizzo. Ecco, questo in sintesi è ciò che ha fatto domenica il team Honda insieme a Marquez. Più che di una botta di fortuna, parlerei di una botta di perfezione, persino nel cambio moto ai box: Marc passa come un gatto da una sella all’altra, agile più di ogni pilota; una manovra studiata, provata e collaudata. Anche quell’uscita spettacolare nel ghiaione, è stato addirittura bello vedere la tecnica con cui ha girato la moto, controllando magistralmente la sua Honda con un equilibrio che Marquez esibisce spesso in condizioni limite.
Più bravo che fortunato. Ma non è stato quello il momento “matto” della sua guida, bensì il sorpasso compiuto giù dalla discesa nel curvone a sinistra ai danni di Rossi, quando è uscito dalla traiettoria asciutta per attraversare l’asfalto bagnato con le slick ! Roba che, se lo subisci, nella mente ti si frantuma ogni certezza. Quei 38 secondi di ritardo accumulati uscendo dal box tra il 17° e il 18° giro, è stato in grado di azzerarli e, anzi, ne ha messi altri 10 tra sé e il secondo, per vincere con margine. Marc e il suo team si sono capiti al volo per il cambio moto: “Ha deciso lui quando rientrare, non glielo abbiamo detto noi. In quel momento solo il pilota si rende conto se può farcela o no…”, mi ha risposto Livio Suppo. Lo spagnolo è stato soltanto il quinto pilota assoluto più veloce in pista, girando a 1 secondo e 7 dai più rapidi e appena 2 decimi e mezzo meglio di Rossi. E’ stata la strategia Honda ad essere premiata, quella che nel box numero 46 è invece mancata per la seconda volta dopo Misano 2015. Valentino è rientrato per il cambio moto al 23° giro e, dopo un paio di passaggi per ambientarsi, era già 7-8 secondi più veloce di sé stesso prima del cambio. Poco feeling, ha detto lui, ma una guida più redditizia. Il cronometro ha avuto ragione più delle sensazioni. Se l’avesse fatto 5 giri prima, appena esposto l’invito a rientrare ai box, avrebbe rosicchiato ai primi un mucchio di secondi preziosi. Però ti devi fidare di chi legge la gara per te, è l’unica cosa corretta che il pilota deve fare, a costo di violentarsi. “Rientrare prima non avrebbe cambiato molto” – sostiene Rossi – “Sarei arrivato magari 6° anziché 8°”. Eppure sembra evidente che quei 26 secondi da Marquez e i 16 da Crutchlow si sarebbero trasformati in una volata finale. Ora avrà tempo di fare due conti anche lui, ma è un peccato che non ci abbia creduto.