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Valtellina Vertical Tube: il mostro è stato domato!

Il chilometro più duro al mondo: una prova da coronarie... ultra

16 Apr 2019 - 10:28

Si parte in posizione eretta, si corricchia per qualche centinaio di metri, poi si alternano corsetta e camminata, infine si sale al passo ed in qualche caso si finisce … a quattro zampe, si insomma gattonando. Charles Darwin … rabbrividirebbe, se tornasse sulla Terra e capitasse a Montagna in Valtellina il primo sabato di aprile, quando il paesino alle porte di Sondrio “impazzisce” a causa del Valtellina Vertical Tube, “il chilometro più duro al mondo”, quello che mette a dura prova le coronarie e … la teoria dell’evoluzione! Mille metri di sviluppo (appunto), cinquecento di dislivello, ma soprattutto un contesto particolarissimo: la condotta forzata ENEL che trasporta fino al fondovalle valtellinese l’acqua dei torrenti della Valmalenco.

Una “vertical” unica nel suo genere: anzi no, ma solo perché sulla scia di questa prova (inventata nel 2015) altre gare simili stanno nascendo altrove. Le pendenze, al Vertical Tube, superano i cinquanta gradi, duemilasettecentotredici sono i gradini da salire. Li hanno contati come si deve e, dopo averli calpestati tutti, possono garantire che non ne manca nemmeno uno. Montagna inizia a popolarsi fin dal primo mattino di specialisti di tower running (specialità in grande ascesa – è il caso di dirlo - che consiste nel salire in vetta ai grattacieli di tutto il mondo … senza fare uso degli ascensori), verticalisti convenzionali e skyrunners da tutta Italia ma anche da Inghilterra, Messico e Giappone.

E questo nonostante il programma di gara abbia inizio solo all’ora di pranzo, con gli atleti Elite a chiudere la serie delle partenze a pomeriggio inoltrato. Siamo in quattrocento a raccogliere la sfida del “mostro”. La prima cosa che faccio, una volta sbrigate le abituali formalità, è andare a visionare il percorso, provare a prendere un minimo di confidenza. Cosa che non mi impedirà di deglutire a più riprese al momento del mio countdown al via. Per una volta non servono mappe, curve di livello, tantomeno GPS.

L’itinerario è lì – tutto quanto – sotto gli occhi: incombente e minaccioso anche mentre parli con i colleghi o addenti un panino. Due enormi tubi verdi “adagiati” lungo il pendio della prima elevazione del versante retico della Valtellina. La pendenza non è costante: come è logico, asseconda l’andamento del rilievo, aumentando regolarmente fino all’impennata quasi verticale del “muro” finale. Cercando di trovare un fattore favorevole alla sfida, cerco di convincermi che l’aumento progressivo della pendenza forse lo è … Per prendere cora più confidenza con il “terreno” di gara mi avventuro lungo il primo tratto del camminamento, che non fa ancora parte del percorso e che mi permette di assaggiare il cemento dei primi due o trecento gradini: bassi ma non particolarmente comodi alla “falcata” (si fa per dire). L’arco della partenza è poco più su. Salgo e scendo due o tre volte: correndo o anche solo camminando, fermandomi ad osservare i volti di chi è in fila in attesa del suo turno di partenza.

Poi resta solo il tempo per un veloce spuntino al villaggio gara e quattro chiacchiere con gli amici ai gazebo della VUT (la temutissima Valmalenco Ultradistance Trail del prossimo 20 luglio) e della Doppia W Ultra 60 Valtellina-Valposchiavo, dalla quale invece mi separano ormai solo otto settimane. Prendo il via trenta secondi dopo il concorrente che mi precede e che mi farà da primo punto di riferimento. Quando lo raggiungo ho già praticamente smesso di correre e la soddisfazione dell’avvenuto aggancio è di breve durata, visto che chi mi ha seguito al via … chiede subito strada. Alla fine della prova il bilancio sorpassi fatti/sorpassi subiti si chiuderà sostanzialmente in pari. Mi metto in testa di … non mettermi niente in testa. Faccio il vuoto dentro e intorno: una specie di anestesia contro la fatica che però non mi lascia nemmeno per un attimo. Testa bassa e avanti. Ogni cento gradini mi imbatto nella relativa “notifica”, disegnata in vernice verde sul cemento. Forse preferirei che non ce ne fossero … Cambio un po’ idea solo quando sono oltre il gradino numero duemila … Ormai ho preso il mio passo: di più non se ne parla proprio. Non sento più la voce dello speaker in zona partenza (buon segno!), ringrazio con un cenno della mano gli spettatori che mi incoraggiano, assiepati sui ponti stradali che scavalcano l’impianto (uno dei quali – ma chissà quale – l’ho sicuramente attraversato a novembre nel corso della Wine Trail), e poi quelli più rari che si sono avventurati in alto, risalendo la montagna a fianco della condotta. Ne supero un altro, poi ancora una volta sono io a dover fare strada: “Permesso? Prego, vai”.

L’educazione è importante, anche sotto massimo sforzo. Uno stranissimo silenzio arriva da chissà dove, mi circonda e mi fa stare incredibilmente bene. Aumenta la concentrazione. Raggiungo un certo grado di “sintonia” con l’essenza della gara, che è semplicemente quella di continuare a salire a testa bassa. Laggiù è tutto un brulicare di gente, voci, macchine, birra e salsiccia. Li vedi ma non li senti, non arriva nemmeno l’aroma della grigliata (meglio così). Quassù, un passo dopo l’altro, respirare, resistere. Poi inizio a sentire – ad ogni passo che salgo sempre più distinta - la voce dello speaker che ci aspetta al duemilasettecentotredicesimo ed ultimo gradino. Gli ultimi tre li faccio in un balzo solo e quasi senza accorgermene, afferrato per la mano e letteralmente tirato su da uno dei ragazzi dell’organizzazione! Lo fa con tutti noi, è una specie di tradizione. Il tempo di rifiatare, lanciare uno sguardo finalmente sereno alla rampa appena completata ed alle “formichine”, come me fino a poco fa, che la stanno risalendo. Poi via da lì, per fare spazio a chi sta completando la sua sfida.

Passo attraverso l’edificio della centralina, riprendo a correre (in piano, questa volta!) lungo il traverso nel bosco che conduce alla strada asfaltata ed alla navetta che trasporta i “reduci” (o meglio i “forzati”) della condotta - sudati, stanchi, ma finalmente in pace con se stessi - di nuovo giù alla base di Montagna per rifocillarsi, raccontare la propria esperienza e poi tornare su, lungo il fianco dell’impianto. Come attratti irresistibilmente da quella rampa inesorabile. Questa volta però solo da spettatore. A studiare gli atleti “Elite” che si stanno già sfidando a ritmi insostenibili per tutti gli altri. Tra le donne trionfa la bravissima Elisa Sortini (17 minuti ed otto secondi), davanti a Katarzyna Kuzminska (staccata di soli 19 secondi) ed alla sorprendente “non-elite” Valentina Garattini, terza in 17 e 49. Ma è tra gli uomini che la Vertical Tube si accende e diventa stellare perché, insieme al suo terzo successivo consecutivo, l’altoatesino Hannes Perkmann stabilisce anche il record assoluto della prova che fin dalla prima edizione (2015) apparteneva a Bernard Dematteis, abbassandolo di otto secondi. Quanto basta per infrangere la barriera dei quattordici minuti con il suo 13 e 54 che lascia un ottimo Alberto Vender a 27 secondi e il tower runner (nonché co-organizzatore della VVT) Emanuele Manzi a 56, a completare il podio.

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