La guerra, la Coppa dei Campioni con il Marsiglia, l’avventura con le maglie di Lazio e Juventus, poi il declino in Inghilterra
Nel 1991, un mese dopo la dichiarazione di indipendenza della Croazia, l’esercito jugoslavo comincia a sparare colpi di cannone, le città finiscono sotto attacco, si scappa, ci si nasconde, la paura incrina le pareti, i divani, i letti e le tavole; le Nazioni unite gracchiano l’embargo sulle armi, come sempre nessuno fa caso al suo innocuo pigolio: i serbi hanno arsenali, rabbia, organizzazione per evitare quella mutilazione geografica.
A Vukovar inizia l’assedio che dura mesi, la resistenza della piccola città infine cede, la dottoressa Vesna Bosanac, direttrice dell’ospedale, viene arrestata dopo esser rimasta accanto ai malati; vecchi, donne, bambini sono massacrati, i corpi bruciati, appesi agli alberi; sugli altari sono sgozzati decine di contadini, avvengono uccisioni in tutta la Croazia, si sente il crepitare della morte sull’asfalto più che tra le lenzuola, il dolore arriva ovunque, l’Onu strilla di smetterla, di non sparare più – si uccide ancora a dicembre, quando il mondo comincia ad avere nausea per quelle morti inesatte che ogni giorno appaiono in televisione.
Poco prima di Natale a Bruska, vicino Benkovac, la famiglia Marinovic viene sterminata mentre cena, una strage tra le stragi. Mesi addietro, in maggio, l’Hajduk Spalato nella finale di Kup Maršala Tita (l’ultima, prima della distruzione della Jugoslavia) batte 1 – 0 la Stella Rossa Belgrado, gioca col lutto al braccio per la morte, pochi giorni prima, a Borovo Selo di dodici poliziotti croati nello scontro con miliziani serbi che ricusano i primi tentativi di indipendenza della Croazia. Il gol della vittoria lo segna Alen Bokšić.