Stadi avveniristici o incastonati in una cava, birre, piatti tipici
Sino a un anno fa, lo schema era più o meno il seguente: sorteggio, reazione d’istinto sulla qualità della squadra rivale (tanto sono sempre “avversari ai quali portare rispetto, perché se sono arrivati sin qui bla bla bla”), conferma e verifica delle date di andata e ritorno, cerchio rosso sulla trasferta, sessione immediata sul sito della Ryanair. Perché l’avversario conta soprattutto per chi va in campo, mentre per chi comunque non può incidere più di tanto il gusto è tutto nella destinazione: la prima sfida internazionale ad eliminazione diretta dell’anno solare, Champions o Europa League che sia, significa anche questo. È tradizionalmente un appuntamento ambivalente: dopo i gironi in cui sino in fondo c’è sempre un’opportunità da sfruttare per restare in corsa, e che comunque tre trasferte (raramente decisive) le garantiscono, il ritorno delle sfide da dentro o fuori è un all-in dal quale può nascere il sogno o chiudersi tutto.
Era così, tornerà ad essere così, ma non lo è stato stavolta. Il Covid, le porte chiuse e le limitazioni di viaggio, i timori di una terza ondata – a febbraio, appunto – e l’incognita variabile del vaccino non hanno fatto aprire pressoché a nessuno i siti delle compagnie aeree low-cost. Niente trasferta con gli amici. E dire che, per le italiane rimaste in lizza, non era andata neanche male, in termini di godibilità potenziale delle mete: Madrid, Monaco e Porto in Champions per atalantini, laziali e juventini, Belgrado e Braga in Europa League per milanisti e romanisti. Con in ballo Moenchengladbach, Wolfsberg, Leverkusen e la lontanissima Krasnodar, poteva andare decisamente peggio, non foss’altro che peggio è senz’altro restarsene a casa e guardarsele in tv.