La finale di Berlino del 9 luglio 2006 ripercorsa attraverso le parole dei due telecronisti di quella notte, Thierry Gilardi e Fabio Caressa, il cartesiano e l’apodittico
Marzo 2008. Sera. Sulla maglia di Franck Ribéry, dopo il rigore segnato in amichevole contro l’Inghilterra, c’è la dedica a due nomi.
“Pour mon pote Hicham et Mr Gilardi”
Il gol segnato, la corsa sotto la curva, la svestizione della maglia e la scritta sono una fulminea orazione funebre per il defunto Hicham, amico del quartiere d’origine di Ribéry, e per il signor Gilardi Thierry, famoso giornalista morto d’infarto a nemmeno cinquant’anni dopo una cena; la sua voce pacata si allunga all’indietro, a Berlino, a un’altra sera, quella del 9 luglio 2006 – fa caldo, molto caldo.
In campo, per la finale del Mondiale, ci sono Francia e Italia, e monsieur Gilardi è pronto a raccontare le immagini della partita per la televisione francese. Lui è una voce, come lo è Caressa (e Bergomi) per l’Italia.
I fatti sono interpretazioni che talvolta coincidono e molto spesso no, gli eventi non conoscono mai una sola direzione, sono trasformati dalle parole, dalle testimonianze, dalla morale come nel racconto breve Nel bosco di Akutagawa che sarà poi in buona parte la trama di Rashomon, capolavoro di Kurosawa. La vita si cerca di capirla, per sbrogliare la fatica. Quando Materazzi sfiora in area di rigore Malouda, che crolla a terra e ottiene il rigore, la voce di Gilardi esce leggera, anzi perplessa.