L’eterna giovinezza di un mito collettivo chiamato “figu”
“Zitto tu che non stai nemmeno nelle figurine dei calciatori!”. Così Carlo Mazzone al termine di un incandescente Ascoli-Roma (0-0, 26 aprile 1981) gelò il ventunenne attaccante giallorosso Luca Birigozzi che stava battibeccando con lui (per la cronaca, poi Sor Carletto si scusò). Aldilà del diverbio tra i due, “stare nelle figurine” – s’intende Panini – era il segnale del riconoscimento e della riconoscibilità per il giocatore. Il rettangolino colorato, con il proprio volto e i dati anagrafici, rappresentava l’ambizione di chiunque sognasse di diventare calciatore, oltre che motivo di orgoglio. Il non averla, si portava dietro tutte le conseguenze del caso. Luca Birigozzi, chi era costui? Altri tempi, questo va detto. Epoche in cui la raccolta “Calciatori” disponeva di due pagine per ogni squadra di Serie A e quindi, spazi contingentati per le singole pose. Chi non meritava o non aveva i requisiti richiesti, rimaneva fuori con sentenza inappellabile. Giudizi netti, dati senza guardare in faccia a nessuno: l’album 2000-01 uscì addirittura privo della figurina del “Fenomeno” Ronaldo (Inter), tradito dal suo ginocchio e quindi out per tutta la stagione.