Nella finale vinta contro il Psg ha confermato la sua essenza
Seguendo in diretta la splendida azione che ha portato al decisivo gol di Coman nella finale di Champions League, ciò che balzava all’occhio era la morbidezza del pallone partito dal destro di Kimmich per giungere sulla testa dell’esterno francese, a cui è bastato impattarlo con la giusta forza per depositarlo alle spalle di Navas e regalare il trofeo al Bayern. A una seconda e più attenta occhiata, un’altra giocata spicca come la più decisiva, seppure inizialmente impercettibile: quella di Thomas Müller, che arriva a rimorchio sul cross basso di Gnabry e in mezzo a un nugolo di giocatori del Paris riesce a servire con uno scarico di rara intelligenza e difficile esecuzione il solitario Kimmich, concedendogli tutto il tempo necessario per servire l’assist della vittoria.
Un’idea finissima, splendidamente tradotta, eppure realizzata con la ruvidità estetica di una spaccata da calcio saponato, che poco si conciliava con la grazia di una partita ricca di interpreti elegantissimi. Ancora una volta Thomas Müller era l’ospite peggio agghindato del gala, eppure quello più utile per la sua missione. E quest’azione non è che l’ennesimo manifesto della sua unicità, l’ultima fotografia del suo glorioso decennio con la maglia dei Roten.