L’attaccante del Wolfsburg continua a smentire chi pensava non ce l’avrebbe fatta
Fuori dalla finestra della cameretta di un giovane Marco van Basten c’era un muro dove qualcuno aveva scritto con lo spray la seguente frase: Dopo me stesso, sono il migliore. L’olandese la fissava quotidianamente, facendo di quelle parole un mantra. Non è dato sapere quale fosse la vista dalla stanza di Wout Weghorst, ma è facile ipotizzare un flusso di pensieri, desideri e ambizioni originati dalla stessa radice. Eppure Weghorst non è Van Basten, anzi, non sembra poter competere nemmeno con un attaccante di livello medio della Serie B italiana. La sua è una delle storie più atipiche che il calcio contemporaneo possa raccontare, perché sfugge a tutti gli schemi della narrazione: non è genio e sregolatezza, né il campione moderno frutto di una programmazione scientifica, né il personaggio di culto per hipster del pallone, né il lieto fine di una storia di riscatto sociale.