Il ricordo di Bruno Longhi
di Bruno LonghiSe la difesa era imperforabile, se Suarez era il regista a tutto campo, se Jair era la freccia imprendibile sul binario destro, se Facchetti era l’assoluta novità del terzino goleador, se Mazzola era la frenesia votata al gol, Mario Corso era ed è stato per la Grande Inter Euromondiale “la fantasia al potere”. La risposta mancina in nerazzurro al genio juventino di Sivori.
Mario Corso lo vidi debuttare il 23 novembre del '58. Inter-Sampdoria 5-1 a San Siro (curiosamente lo stesso avversario che i nerazzurri si troveranno davanti alla ripresa del campionato). Ero bambino e mi innamorai subito di quell’adolescente, con tanto di banana a mo' di ciuffo che sembrava pattinare sul manto bagnato di San Siro e che ancora non teneva i calzettoni arrotolati sulle caviglie. Ubriacò, finta dopo finta, il suo marcatore, l’ex interista Vincenzi, giusto come aveva fatto 4 giorni prima all’Arena Civica affrontando nell’uno contro uno il napoletano Comaschi in una partita del campionato riserve.
Era nata una stellina. Che i tifosi dell’Inter cominciarono ad amare per il suo calcio insolito, fatto di finte, serpentine, tunnel e lanci “no look”(come vuole il lessico attuale) per i raid offensivi di Giacintone Facchetti. Un repertorio impreziosito da quell’inedito (per le nostre latitudini ) che era la “foglia morta”. Il calcio di punizione mutuato dalla “folha seca” del brasiliano Didi. Un tiro lento ma precisissimo che scavalcava la barriera e si infilava laddove il portiere non sarebbe potuto arrivare.
Esempio indimenticabile è il gol del 2-0 al Liverpool nella semifinale di ritorno della Coppa dei Campioni vinta nel 1965. O quello con cui infilò Cudicini nel derby scudetto del ’71.
Mariolino era, agli albori dei mitici “annisessanta”, la risposta interista al più giovane (di due anni ) Gianni Rivera, il golden Boy vanto del tifo rossonero.
Un dualismo che si sarebbe pero' spento nel giro di breve anche a causa della sincera amicizia che legava i due contendenti.
Corso era un esteta del calcio, e quindi amato dagli esteti. Molto meno dal Mago Helenio Herrera che - votato al “tata la baca”- ne pretendeva la cessione ad ogni finestra di mercato. Richiesta che puntualmente Angelo Moratti, sostenuto dai figlioli, rispediva al mittente.
Mariolino non ebbe grande fortuna in azzurro, nonostante i suoi inizi fossero stati travolgenti: a Tel Aviv, nel ’61, in una gara di qualificazione al mondiale del Cile, vinse la partita praticamente da solo segnando all’87esimo e al 90esimo i due gol del 4-2 finale. Il primo con la solita “foglia morta”, il secondo dopo aver dribblato, con il suo incedere ciondolante, quasi tutta la difesa avversaria.
Purtroppo il feeling con l’azzurro ebbe breve durata (23 presenze in totale e 4 gol) e senza mai il privilegio di poter partecipare ad un Mondiale o ad un Europeo.
Mario - non più Mariolino - non amava i compromessi, a tal punto che durante un amichevole Inter-Cecoslovacchia, che precedeva il Mondiale cileno, celebrò un suo specialissimo gol con il gesto dell’ombrello rivolto alla tribuna dove sedeva il ct azzurro che l’aveva escluso dai convocati.
Quasi superfluo ricordarne i tanti trionfi in nerazzurro, 4 scudetti, 2 Coppe dei Campioni e altrettante Intercontinentali. Ma ci sono momenti che ti rimangono impressi come fotografie nella camera oscura della mente: il gol decisivo all’Indipendente nello spareggio dell’Intercontinentale giocato al Bernabeu nel '65, e la grande rimonta ai danni del Milan del ’71 in cui lui - partito Suarez per altri lidi - fu il corpo e l’anima della squadra che stava per esalare gli ultimi respiri.
Non amava correre. Faceva correre la palla. Non amava il sole. Spesso si defilava nella porzione di campo all’ombra. Ma era Corso. Il campione tutto “estro e sinistro” che ha incantato le platee e fatto innamorare del pallone un’intera generazione, forse più di una.
Col passare del tempo ho avuto il privilegio di diventarne amico, e di esserne compagno di squadra in qualche partitella del giovedì. E anche quando il peso degli anni cominciava a farsi sentire, i colpi di genio e il talento ti lasciavano incredulo.
Come sono incredulo ora di fronte alla notizia della sua morte. Lo so, fa parte della vita. E quindi, con un nodo in gola, mi rassegno e gli auguro di ritrovarsi in cielo con quei suoi ex compagni che lo hanno preceduto, Picchi, Facchetti, Tagnin, Peirò.
Ah dimenticavo: sarà di sicuro In Paradiso, perché Mario giocava proprio come si usa da quelle parti.