Il ricordo del condirettore Alberto Brandi a dieci anni dalla scomparsa di Maurizio Mosca
di Alberto BrandiCaro Maurizio, avrei voglia di dirti tante cose. Conservo con cura una tua lettera di una dozzina di anni fa, la rileggo spesso per evitare che il passare degli anni intacchi minimamente il tuo ricordo. Risento la tua voce e ti immagino chino mentre mi scrivevi quelle righe (rigorosamente col pennarello nero) che ricontrollerai con l’immancabile lente di ingrandimento. Con quella lettera mi stringevi virtualmente la mano dopo un litigio. Senza mezze misure. Come tutto ciò che facevi. La chiudevi con questa frase: “Alla mia età posso dire a un giovane come te di restare sempre così, di non perdere la sensibilità, la generosità e la voglia di lavorare con entusiasmo, passione e senza sosta”.
Oggi, 10 anni dopo quel maledetto 3 aprile, cerco sempre di non cambiare. E quando ho un attimo di cedimento ho il tuo esempio davanti. La redazione era la tua prima casa, i colleghi la tua famiglia, il lavoro un elemento vitale. Non c’erano festività che tenessero. A Natale, Capodanno, Ferragosto non mancavi mai. Se nel lavoro eri un esempio, la tua umanità non conosceva confini. Certo, ogni tanto sbottavi e non c’era verso di placarti, ma il tuo animo era gentile.
Mi piacerebbe che tu fossi qui con noi, in 10 anni sono cambiate tante cose nel calcio: una ti sorprenderebbe. Sì, alla fine si sono arresi. C’è la moviola in campo. Si chiama VAR, ma è proprio quella cosa che chiedevi a gran voce.
So come avresti vissuto questi giorni drammatici in cui stiamo lottando contro un nemico invisibile. A quasi 80 anni, saresti venuto comunque in redazione con noi. Avresti pasticciato nel metterti mascherine e guanti. Dopo aver bevuto, come sempre, il the preso alle macchinette accompagnato dai biscotti secchi.
Vedendomi, mi avresti salutato con naturalezza insieme al tuo classico “ah ciao! Novità?”. Novità? Non ce ne sono, Maurizio. Oggi, come ogni giorno da 10 anni a questa parte, ci manchi.