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SKYRUNNING EXPERIENCE

Barbacan, chi era costui? Una Skyrace estrema... sui passi del Trofeo Kima 2024

Un assaggio della Grande Corsa sul Sentiero Roma che è già molto più di un semplice antipasto

di Stefano Gatti
01 Set 2024 - 13:04
 © Maurizio Torri

© Maurizio Torri

La splendida solitudine del finisher è tutto quanto fa spettacolo sul pratone di Filorera, al traguardo del Trofeo Kima. Li vedi arrivare da soli o mano nella mano con mogli e fidanzate, magari con i bambini in braccio, ma è solo il tempo di un bacio o di un abbraccio: la linea d’arrivo li separa di nuovo dagli affetti e li riporta lassù, dove c’erano i compagni d’avventura, il sole e la nebbia, un intero universo di granito e di sassi, sassi, sassi e ancora sassi. Sui quali saltare (da uno all’altro), ai quali aggrapparsi, sui quali a volte inciampare. Si stendono per terra, nel prato, da soli. In silenzio oppure con un grido liberatorio, ma soffocato da ben più alte emozioni. Magari li conosci, sono amici, e ti viene voglia di chiamarli da dietro la transenne, oppure entrare nel recinto e dare loro una pacca sulla spalla (ma piano!). Però no, non si può. Sono come intoccabili: per un minuto, dieci, venti. Poi si rialzano e tornano nel nostro mondo. Resta per terra il loro sudore. Penetra senza fretta nel terreno. Mi viene da pensare che ingrasserà il pratone, nutrendo l’attesa del loro ritorno, tra due anni.

© Francesco Bergamaschi

© Francesco Bergamaschi

Dopo l’esperienza del 2018 (allora solo come giornalista, su in Val Qualido ad attendere Kilian e Sévennec), torno per la prima volta al Kima ma questa volta da concorrente. Non nel Trofeo. Pur avendone le credenziali e una wild card a disposizione, preferisco rimandare al 2026. È un rischio bello grosso: sarò ancora in attività tra ventiquattro mesi? D’altra parte, per affrontare questa gara occorre una preparazione scrupolosa (che non ho potuto svolgere) e un profondo rispetto: verso il Kima stesso, verso chi lo organizza, chi lo corre, e anche verso me stesso. Serve essere al cento per cento sotto ogni punto di vista ma anche così potrebbe non bastare. Intanto ho scelto di mettermi alla prova nel formato Extreme Skyrace, che mi permette di assaggiare in formato agonistico l’ultimo terzo del Trofeo, ma solo dopo aver superato oltre millecinquecento metri di dislivello da Filorera al Rifugio Gianetti, sede del terzo e proibitivo cancello orario del Trofeo stesso. Questo mi permette di “smarcare” già il collaudo del finale, lasciando alla prossima estate (e poi a quella dopo, il Kima si svolge a cadenza biennale) la ricognizione dei primi due terzi dell’itinerario.

© Francesco Bergamaschi

© Francesco Bergamaschi

La giornata (tanto per entrare in clima-gara) inizia subito in salita: la sveglia dello smartphone suona alle tre del mattino. Ho lavorato fino alla tarda serata della vigilia e sono ancora a Milano… Parcheggio a Filorera alle cinque e mezzo, a due ore dal mio via. Sì perché - per non farmi mancare nulla - ho pensato bene di salutare gli amici che un’ora prima di noi scatteranno al via del Trofeo. Alcuni di loro (mi piace ricordare Andrea, mio compagno di squadra nella Sportiva Lanzada) saranno i finishers di cui alle prime “oniriche” righe di questo racconto di gara. Noi partiamo… in direzione opposta, puntando subito verso San Martino - il centro abitato principale di questi luoghi - dove la Val Masino si biforca: Valle dei Bagni (westbound) lungo la quale il Trofeo si decide, Val di Mello (eastbound) nella quale si sviluppa il veloce Kima Trail riservato agli specialisti della corsa in montagna.

I primi tre chilometri sono condotti come al solito ad andatura folle: da quelli davanti, si capisce. Mi lascio sfilare indifferentemente a sinistra e a destra, mentre cerco di trovare un ritmo accettabile. Il passaggio davanti al centro sportivo di San Martino mi riporta indietro di qualche mese allo scorso inverno o - fa lo stesso - mi proietta qualche mese in avanti, perché qui si trova il campo-base di Val di Mello Winter Trail. Che differenza tra il clima di queste ore (specialmente al ritorno, ora di pranzo…) e il freddo intenso di fine gennaio, con il programma di giornata compresso nelle poche ore in cui il sole invernale riesce ad affacciarsi sopra le pareti verticali della valle e il "tutti a casa" appena l'ombra delle montagne inghiotte l'area premiazioni!).

Attraversiamo il centro abitato incoraggiati dalla popolazione locale. Sarà così anche tra tre ore (per quelli bravi) e quattro, cinque o sei al nostro ritorno, quando applausi e incitamenti ci lanceranno con la fionda giù per la strada e la ciclabile, verso l’ultima curva a gomito prima del traguardo. Lasciamo la strada per il sentiero proprio nel punto in cui (nel Winter Trail di cui sopra) si fa il pit stop per montare rapidamente sotto le scarpe da trail i ramponcini che permettono di mordere ghiaccio e neve. Da un momento all’altro cambia tutto: terra e sassi al posto dell’asfalto, sentiero single-track al posto della strada, rampa pressoché continua al posto dei saliscendi iniziali. Soprattutto silenzio al posto del tifo: il nostro respiro affannato, il metallo dei bastoncini contro i sassi, l’aria fresca del primo mattino e un orizzonte ottico che autolimitiamo ai pochi metri davanti ai noi: la concentrazione è già alta, una scavigliata qui sarebbe imperdonabile e nei casi più sfortunati irrimediabile.

© Stefano Gatti

© Stefano Gatti

Incrociamo ancora un paio di volte i tornanti della strada che porta ai Bagni del Masino, poi bando alle incertezze: sentiero e foresta, rampe e radure nell’infernale paradiso della Val Porcellizzo. La fatica si fa sentire, mi imbatto in un amico… di social che mi chiede come mi trovo con le Merrell Agility Peak 5 che indosso: “Guarda, le ho ritirate pochi giorni fa e fondamentalmente le inauguro proprio oggi, ti saprò dire…” Che poi è quello che faccio qui, sottolineandone la versatilità e un utilizzo "out of the box" senza controindicazioni nonostante il livello piuttosto alto del terreno di gara. Promosse a pieni voti insomma e già pronte per la prossima occasione!

© Marco Capretta

© Marco Capretta

Oltre alle sciccose Agility Peak 5 del brand che è anche main sponsor delle Skyrunner World Series (delle quali il Trofeo Kima fa parte), sottopongo oggi ad un test agonistico anche i miei nuovi bastoncini Cober Pyrus che "brandisco" nella foto sopra (a proposito, l'atleta del Team SCARPA alle mie spalle è Lorenzo Rota Martir, da lì a poche ore vincitore della Skyrace!). Li ho aperti fin dal via e li utilizzerò con piena soddisfazione fino al passaggio-chiave del Rifugio Gianetti. Superano insomma senza problemi le insidie presentate dal continuo su e già tra i massi, resistendo bene alle continue sollecitazioni, agli inevitabili "incastri" (e alle successive torsioni) nello spazio tra un grosso masso e l'altro. Devo poi ripiegarli e riporli nello zainetto, visto che nella tecnica salita su roccette ai 2570 metri di quota del Passo Barbacan (e nella successiva discesa verso la sottostante Valle dell’Oro e il Rifugio Omio) il loro utilizzo è per ovvie ragioni vietato.

© Francesco Bergamaschi

© Francesco Bergamaschi

Improvvisa crisi di fame e spiacevole sensazione di vuoto cosmico alla stomaco nella parte mediana della Val Porcellizzo: tampono con un gel Enervit e una sorsata di sali by Powerade ma mi riprendo davvero solo dove la pendenza si abbatte, vale a dire lungo i 1900 metri di quota del Piano di Porcellizzo, dove si tira un po’ il fiato prima del secondo tempo: la risalita per balze successive (se non altro ormai in ambiente di prateria alpina) verso il Gianetti. Inutile dire che il rifugio dalle caratteristiche imposte biancorosse resta un miraggio dietro ogni balza faticosamente rimontata.

© Francesco Bergamaschi

© Francesco Bergamaschi

Non faccio nemmeno in tempo a godermi la sua vista laggiù (anzi, lassù) all’orizzonte, che un passo avventato di traverso su un grosso masso umido (eppure lo aveva visto bene, lo sapevo) dà il via ad una scivolata da fermo o quasi che mi procura un “bel pestone” al fianco sinistro e alla spalla. Il rumore sordo e (pure lui) sinistro mi fa pensare al peggio ma non ho sentito il crack. Trattengo il fiato per qualche secondo (ma non un paio di… improperi), poi mi calmo e controllo la botta. Di fermarsi non se ne parla, tantomeno di tornare indietro e in ogni caso se ho bisogno di aiuto lo posso trovare all’ormai vicino rifugio. “Vai fino a lì e vedi come stai”, mi ripeto. So già che l’adrenalina in questo momento fa più di qualsiasi pomata miracolosa e che “al massimo stasera si gonfierà, ma non prima di stasera”. Il dolore è presente ma sopportabile, raggiungo la veranda del rifugio, mangio e bevo qualcosa, ripiego e metto via i bastoncini che fin qui hanno fatto il loro dovere. Sono vicino alla coda del gruppo ma abbastanza comodamente dentro i tempi del cancello orario (tre ore).

Riparto a testa bassa per il lungo traverso che porta ai piedi della paretina del Passo del Barbacan, nostro GPM-gara e (per "quelli del Kima") settimo e ultimo valico prima della discesa finale. Barbacan: sembra il nome di uno dei demoni dell'inferno dantesco, ma potrebbe anche essere stato un molto meno esotico ed esoterico "bravo" di manzoniana memoria.

 “Il grosso del dislivello è ormai dietro di noi”, dico al collega con il quale ho affrontato l’ultima oretta di gara. Il pestone di pochi minuti fa? La testa l’ha già rimosso o per meglio dire rimandato appunto a questa sera: è come se non fosse mai avvenuto. È per questo che facciamo ‘ste cose, mica per altro: per questa incoscienza virtuosa che un giorno ci mancherà da morire.   

© Francesco Bergamaschi

© Francesco Bergamaschi

Mi sembrava di averlo intravisto, poco fa dietro al tavolo del ristoro, mentre si preparava. Lui è l’amico skyrunner Fabio Corna, compagno di sedute di allenamento in un recente passato al campo sportivo Saletti di Nembro. Oggi è qui come “scopa” e infatti è dietro uno dei colleghi non troppo lontano da me… Vade retro, Fabio! Mi riconoscerà poco più avanti, una volta terminato il lungo e “sassoso” traverso sghembo di avvicinamento all’attacco del Barbacan. Primi elementari passi di arrampicata con la sicurezza offerta dalle catene. La parete è abbastanza "appoggiata” ma per non sbagliare tengo lo sguardo rivolto alla roccia davanti alla faccia.

© Andrea Mazzoni

© Andrea Mazzoni

A metà risalita (ci vorranno una ventina di minuti a raggiungere lo stretto intaglio del valico) il tecnico del soccorso che veglia su di noi ci invita a trovare una sosta sicura per lasciar passare i primi due del Kima: lo statunitense Jack Kuenzle e lo scozzese Finlay Wild che - a ordine invertito - tra poco più di un’ora (!) taglieranno in prima e seconda posizione il traguardo. Nemmeno il tempo di rimetterci all’opera che siamo di nuovo fermi per dare "strada” a Cristian Minoggio che è all’inseguimento dei primi due ma li ritroverà solo a fine gara e poi sul podio. Se fate caso nella foto sopra, dietro di lui occhieggia la macchia di colore giallo del mio cappellino!

© Francesco Bergamaschi

© Francesco Bergamaschi

Completo in scia a Laura Bizzanelli e al fotografo Roberto “Robysci” Ganassa la salita e poi li marco stretti anche nella successiva discesa sul più agevole versante della Valle dell’Oro, diretto al Rifugio Omio, base di decollo verso il tratto finale della nostra missione. Ristoro veloce sul piazzale del rifugio stesso e poi via, puntando ora più decisamente i Bagni del Masino. Mi fermo a fare quattro chiacchiere con un collega che si è ritirato ad inizio gara ma poi ha deciso di salire quassù a fare il tifo e perdo così il “gancio” di Laura e Roberto.

Dalla prateria alpina alla foresta, il passo è breve ma… lento. Metto non so bene come a segno un paio di sorpassi ma devo fare attenzione all’arrivo (alle mie spalle) dei top runners del Trofeo, in modo da non far perdere loro il ritmo, visto che si stanno giocando la top ten. A conti fatti, al mio arrivo al traguardo di Filorera sarò stato raggiunto (e rapidamente seminato…) dai primi quindici della classifica generale, precedendo di pochi minuti la vincitrice di gara-donne Hillary Gerardi, che chiuderà il suo terzo Kima vincente consecutivo di lì a poco, mentre sarò ancora lungo disteso nel prato ma all’ombra del tendone a riprendere fiato e… controllo delle emozioni.

Mezzogiorno di fuoco e oltre, clima caldissimo ma siamo nel fitto della foresta e in piena discesa. Il sentiero corre a zig-zag ma noi tutti (nessuno escluso) tiriamo dritto, limitandoci a seguire la rotta indicata dalle bandierine rosse che indicano vistosamente la via verso la salvezza. Tocchiamo il piano o quasi nella zona dei Bagni, dove lo splendido isolamento forestale lascia spazio ad una maggiore frequentazione turistica che non disturba, anzi: c’è ormai bisogno di tutto e l’incoraggiamento degli escursionisti in marcia o in sosta-picnic è quello che ci vuole per imboccare la discesa verso San Martino tra asfalto e mulattiera, tagliando i tornanti della strada e ripercorrendo (prima a tratti, poi integralmente) il cammino fatto all’andata, per quanto mi riguarda ormai una manciata di ore fa.

L’attraversamento del paese e poi il finale sulla ciclabile in falsopiano tra il centro sportivo e l’arrivo è tutto un “bravo, grande, dai che è finita” largamente immeritato ma piacevolissimo e anche emozionante. Proprio all’altezza della partenza/arrivo di Val di Mello Winter Trail, ecco del tutto inaspettato il tavolino di un ultimo punto di ristoro: un bicchiere d’acqua fresca a garganella giù per la gola, un altro sulla testa.

© Maurizio Torri

© Maurizio Torri

Ecco il “controviale” del “blue carpet” finale, ormai lì a fianco: è come percorrerlo due volte, tra due ali di folla e di tifo. Che fortuna: sono tutti qui per l’arrivo della top ten maschile e per il podio-donne! Svolta ad “u” ed ecco lì in fondo l’arco d’arrivo. A pochi metri dalla linea mi tolgo spontaneamente il cappellino e taglio il traguardo a testa scoperta, in omaggio e per rispetto al Kima. L’amico speaker Juri Pianetti coglie al volo e sottolinea al microfono il senso del gesto. Mi guardo intorno ancora un po' "groggy" e sto per sedermi un attimo a terra quando Maurizio Torri mi invita a mettermi in posa sul traguardo.

© Francesco Bergamaschi

© Francesco Bergamaschi

La festa finale nel fazzoletto di prato del giardino interno della Casa delle Guide è quello che ci vuole per “decomprimere”, rilassarsi, ascoltare, raccontare e concedersi qualche salutare e meritata (issima) birretta. Poi mi allungo nel letto della cameretta della Casa stessa, che gli amici organizzatori mi hanno gentilmente messo a disposizione per evitare un rientro notturno a Milano… a rischio patente.

© Stefano Gatti

© Stefano Gatti

Domenica mattina sul presto (cosa vuoi che siano le sei rispetto alle tre di ventiquattro ore prima, anzi ormai ben ventisette!). Dispiego il bottino del pacco gara a terra per le consuete foto di rito nell'ormai martoriato prato del giardino che ha ospitato fino a poche ore prima (molte meno di quelle che mi sono servite per portare a termine la Skyrace) la festa di cui sopra. Poi recupero la Kona nel mio parcheggio segreto lì nei pressi e mi avvio verso casa: mi aspetta un pomeriggio-sera di lavoro in redazione per la Formula Uno.

© Maurizio Torri

© Maurizio Torri

Giunto a Monza, sul lungo viale alberato (tipo Champs-Élysées) incorniciato al suo fondo dalla Villa Reale, avvisto sulla ciclabile che lo fiancheggia un ragazzo che “incredibilmente” indossa la maglietta rossa finisher della “mia” stessa Kima Extreme Skyrace! Per poco non inchiodo e metto la retro (di nuovo) a rischio patente per chiedergli chi è, come è andata, perché siamo dovuti tornare giù (se non per via del traguardo) quando invece era così bello restare lassù. Tiro dritto a malincuore, dandogli appuntamento tra due anni in Val Masino. Chissà, magari allora saremo fianco a fianco nella gabbia di partenza del Trofeo. Sì perché ventiquattro mesi sono troppi per promettersi alcunché ma… lasciamo almeno una porticina socchiusa, tanto poi saranno i (giustamente) proibitivi cancelli orari a chiudersi! Il Kima non è per tutti (e trovo giusto sia così), ma anche solo il coraggio di tentarlo non lo è, ed è proprio in questa remota terra di nessuno che alcuni di noi si muovono e - così facendo - continuano a sognare.

© Francesco Bergamaschi

© Francesco Bergamaschi

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