In gara per Sportmediaset sulle salite da cuore in gola e le discese a rotta di collo del classico evento "sky" della Val di Fassa
di Stefano Gatti© Dolomyths SkyRace Press Office
La musica è finita, gli amici se ne vanno… Così faceva quella vecchia canzone. E invece no! La musica a tutto volume impazza ancora quando mi avvicino ansimando allo sbocco della Forcella Pordoi, uno dei passaggi-chiave della venticinquesima edizione di Dolomyths Skyrace… e a trascinarmi su lungo le ultime (e ipnotiche) inversioni dentro l’imbuto di roccia e polvere dolomitica è la voce amica (appunto) di Maurizio Torri, direttore e prima ancora anima di www.sportdimontagna.com, lì sul bordo dell’abisso ad incoraggiare noi “scappati di casa”, come e più dei top runners che si sono affacciati quassù ormai più di due ore fa e a quest’ora stanno raggiungendo il traguardo di Piazza Marconi a Canazei! Smarco dando un “pugno contro pugno” a Maurizio lo scollinamento ai 2848 metri della Forcella: due ore, zero minuti e zero secondi, ossia trenta minuti spaccati di anticipo sul primo cancello orario. Mollo a terra irriconoscente e senza rimpianto alcuno i bastoncini (vietati da qui alla prossima barriera oraria) e mi avvio “bello” sollevato nel lungo traverso che conduce alla prossima rampa: quella che si inerpica sulla vetta da 3152 metri del Piz Boè, la piramide di roccia che si alza dall’altopiano sommitale (o quasi) del massiccio del Sella, GPM della terza tappa della regular season di Golden Trail World Series powered by Salomon. Dieci chilometri di salita alle spalle, dodici in discesa davanti alla punta delle scarpe. Dal castelletto roccioso del Piz insomma la linea d’arrivo dista ancora più della strada fatta per arrivare. E visto che alla tastiera… non fa male come sul sentiero, faccio prima a tornare a ritroso e a ripartire dal via!
© Dolomyths SkyRace Press Office
Arrivo a Canazei da Monza cinque ore e… un anno dopo i piani iniziali, o meglio dopo il primo invito di Diego Salvador a prendere parte a una delle skyraces più impegnative e suggestive dell’arco alpino. Il primo contatto nell’autunno del 2021 a Limone sul Garda, in occasione dell’altrettanto prestigiosa Limonextreme. Questa volta non ci sono intoppi e a dare un bel “rinforzino” al varo della trasferta in Val di Fassa c’è pure l’invito di Salomon Italia che lancia nell’occasione la nuova “Thundercross”. Stringo subito amicizia con il giovane collega Jacopo Gandola di Runner’s World. Del gruppo media siamo solo lui, io e altri due colleghi a dare pienamente senso a questo viaggio ritirando il pettorale e tutto il resto: insomma scegliendo di schierarci al via. Lascio l’auto nel parcheggio dell’Hotel Miramonti della vicina Alba di Canazei e sfrutto i due chilometri che mi separano dalla partenza come riscaldamento pre-gara. Ne approfitto per guardarmi intorno, rivivere la serata precedente al Rifugio Contrin (uno dei miei luoghi dell’anima) e - all’altezza dell’Hotel Sassleng - ripensare al fortunatissimo incontro (del quale ringrazio l’amico Paolo Taglietti, che ritroviamo più avanti) con … Tone Valeruz! Mezz’ora trascorsa a parlare con il mitico sciatore estremo degli anni Settanta e Ottanta, al cospetto del Gran Vernel (teatro di alcune delle sue performances più straordinarie-una quarantina di discese), mi ha regalato grandissime emozioni. Lo lascio salutandolo… quasi con un inchino di fronte a tanta classe e a tanto coraggio.
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Tocca però tornare con i piedi per terra perché sono arrivato in centro a Canazei, dove la mia società (ASD Sportiva Lanzada, in Valmalenco) è rappresentata da tre atleti: con me ci sono Andrea Manes e Gloria Lucchetta. Mi perdo un po’ in chiacchiere e finisce che mi ritrovo dalla parte sbagliata della gabbia di partenza quando veniamo chiamati a sciamare dentro il recinto, già bloccato nelle retrovie del gruppone. Fanno diversi minuti persi (prima ancora di muovere un passo) nei confronti dei miei diretti avversari da centro gruppo… e oltre. Pazienza! Scattiamo in avanti alle otto in punto e dopo una breve passerella tra le vie del paese lasciamo d’asfalto e attacchiamo al contrario il pendio della pista da sci Del Bosco. Cala il silenzio nel gruppo e salgono le pulsazioni.
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Mi ritrovo a spingere sui bastoncini ma sono contento di averli già con me invece di averli consegnati al via per il trasporto fino al Passo Pordoi, dove sbarchiamo al culmine di una salita con poche pause per tirare il fiato che, se non altro, ci ha permesso di oltrepassare la quota della vegetazione d’alto fusto. Passo Pordoi, quota 2239: me lo ricordo fin dalle elementari. Quelle cose che ti rimangono impresse senza una particolare ragione ma profumano un po’ di destino se poi mi ritrovo qui oggi - a cinquantanove anni compiuti - a macinare chilometri e salite senza apparenti ragioni, se non quelle del cuore.
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Non più nascoste dalla foresta, ecco le pareti del Sella e - lassù - la breccia della Forcella Pordoi, risalita dalla traccia a zig-zag lungo la quale sono già “ingaggiati” i top runners. Attraversiamo la statale proprio in corrispondenza del valico ed iniziamo la parte più ripida dell’intero itinerario. Qualcuno ha già alzato bandiera bianca. L’idea non mi sfiora nemmeno, ma la vista di quello che mi aspetta non mi lascia del tutto… tranquillo. Dura però pochissimo perché già da qui la voce di Maurizio che “racconta” il passaggio di Stian Angermund e di Elhousine Elazzaoui (che vincerà la gara) mi giunge molto forte e chiara: riesco a sentire distintamente le sue parole e perciò mi convinco che (in linea d’aria almeno) la Forcella non è poi così distante. Una bella iniezione di fiducia! Mi costringo a dimenticare tutto quello che c'è intorno (ed è imperdonabile perché lo scenario naturale teme pochi confronti sull’intero pianeta) e mi concentro sui talloni di chi mi precede su per le interminabili svolte.
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Che fortuna: man mano che ci addentriamo nell’imbuto, l’incombenza delle pareti ci permette di correre nel cono d’ombra, al riparo dalla luce accecante del sole. Quando sono due o tre inversioni sotto lo scollinamento (eccoci tornati all’inizio), Maurizio mi riconosce e mi… chiama su a gran voce. Lo sento e gli faccio segno con la mano, ma senza alzare lo sguardo. Lo raggiungo (e con lui il frastuono di un rave party d’alta quota sul quale gli eco-integralisti avrebbero qualcosa da obiettare…) allo scoccare esatto delle due ore di gara. Credo mi dica che stavolta (rispetto al recente patimento della Skymarathon Sentiero 4 Luglio) “mi vede bene” o qualcosa del genere e questo mi proietta letteralmente in avanti. Mollo a terra i bastoncini che faranno ritorno alla base non so bene come, bevo un bicchiere d’acqua e tiro dritto.
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Mezz’ora di vantaggio sul cancello significa che ho un’ora e trenta minuti di tempo per raggiungere quello successivo del Rifugio Boè. In mezzo però c’è la cima omonima e (poiché non conosco l’itinerario, pur avendolo quasi tutto davanti agli occhi), decido che non è il caso di abbassare la guardia. Anche perché il passo falso (anzi, tanti passi, ma non abbastanza!) di inizio luglio a Corteno Golgi mi ha lasciato l’amaro in bocca e un senso di “incompiuta” che da allora… non vedo l’ora di “mondare”.
Come un mese fa alla Skymarathon di Livigno, affronto la parte centrale della Dolomyths facendo gara a elastico con l’amico Paolo che mi aveva raggiunto prima della “onnipresente” Forcella. Poi allungo di nuovo nei suoi confronti quando la traccia si arrampica sulla piramide del Piz, affrontando qualche divertente passaggio attrezzato, sul quale però evito accuratamente di distrarmi. Raggiunta la piccola folla di accompagnatori ed escursionisti che presidia ogni singolo centimetro della cima, imbocchiamo la discesa verso il Rifugio Boè: tecnica, a tratti aerea, esigente ma in certi punti anche tutta da spingere, giù fino al pianoro dall'aspetto lunare sul quale sorge il rifugio. Sfilandoli, lancio uno sguardo ai cronometristi e chiedo:
-“Tutto ok con il cancello, vero?”
-“Vai tranquillo!”
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Bene, fine dei patemi ma non… dei problemi. La splendida desolazione dell’altopiano dolomitico è ancora piuttosto estesa sotto le suole delle mie scarpe e forse recentemente ho dimenticato di reintegrare le energie: sotto con il prossimo gel. L’effetto non è proprio immediato e mi rendo conto di essere entrato nella fase più delicata della mia Dolomyths. Manca un po’ di lucidità, mi parlo e cerco di richiamare continuamente l’attenzione sul terreno ma, quando abbandoniamo il falsopiano per il primo “tuffo” nella selvaggia Val Lasties, devo più volte spostarmi per cedere il passo a qualche avversario di troppo. Non c’è molto che possa fare se non provare a rimanere super vigile e concentrato lungo il pianoro che divide il primo “tuffo” da quello successivo, adesso all’ombra delle pareti di roccia e in prossimità delle prime tracce di vegetazione. Largamente anticipato, ecco un rovinoso volo tra le rocce che mi costa pestoni su gomiti, spalle e ginocchia. È la sveglia che mi serviva: invece di “smontarmi” come altre volte, il capitombolo mi scuote e sortisce l’effetto di rimettermi in riga. Vado giù finalmente più sveglio e presente, come sbloccato. Il gruppetto del quale faccio parte si distrae brevememente (agonisti a tutti i costi compresi, tra i quali io) solo per rimanere “rapito” davanti a un cucciolo di volpe a pochi metri dal sentiero: speriamo di non averlo disturbato... troppo.
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Ci avviciniamo al giro di boa di una giornata completamente tersa e quindi parecchio calda ma il sentiero inizia a infilarsi nella foresta e anche a farsi più ampio e facile, tanto che sfiliamo a destra e a sinistra gli escursionisti diretti a rifugi e baite per un pranzo che noi consumeremo solo tra due o tre ore, se va bene. Schiavaneis, Lupo Bianco, i tetti di Canazei non più così lontani. Corro per un buon tratto in compagnia di Laura Tacchini e di suo papà Vitale, valtellinesi doc, poi perdo il contatto con loro (li rimonterò fino a mancare di una trentina di secondi il riaggancio) ma riesco a difendermi bene, mantenendo sostanzialmente in equilibrio la bilancia dei sorpassi fatti e subiti. Finché mi imbatto in Yuri Fabbri, scambio quattro battute con lui e poi entrambi di fatto decidiamo di essere l’uno il riferimento giusto per l’altro da qui al traguardo. Mancano ormai solo un paio di chilometri, la strada bianca è comoda e invitante, ripida al punto giusto per spingere quanto basta. Al ritorno sull’asfalto annullo i pochi metri di ritardo da Yuri e mi piazzo sui suoi garretti. A duecento metri dall’arrivo gli faccio:
-"Grazie per il gancio!”
-“Anche a te!”
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Ultima curva a destra e laggiù il traguardo. Non ci penso neanche per un istante a tirargli la volata: sono fatto così. Piombiamo sul traguardo uno dopo l’altro, poco alle spalle di un francese e poco davanti a un cileno, per dire dell’internazionalità della prova. Pugno contro pugno anche a Yuri e tanti complimenti reciproci. Siamo rientrati alla base tutti interi. Poi resto nei paraggi ad attendere l’arrivo di Paolo. Se lo merita. Questa cosa ce la siamo meritata entrambi, altroché.
Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore.
Si deve sempre andare: nessun sentire è mai troppo lontano.
(Rainer Maria Rilke)
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