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TRAILRUNNING

Guendalina Sibona: "Le amicizie del TOR sono pazzesche. È un vero viaggio ma adesso partirei per la Mongolia!"

La viaggiatrice e trailrunner milanese ci racconta il senso del libro dedicato alla sua esperienza nel "Giro dei Giganti" sulle Alte Vie valdostane.

di Stefano Gatti
11 Set 2021 - 09:43

Ripercorrere nel giro di una mezza giornata un viaggio di 340 chilometri sulle montagne della Valle d'Aosta che richiede "normalmente" (ma non c'è nulla di normale in tutto ciò) dai tre ai cinque giorni di fatica e fino ad un'intera settimana può essere un po' straniante ma è quello che accade divorando - quasi "scannerizzando" - le 178 pagine di "Un giorno ancora - il mio viaggio dentro il Tor", il libro che Guendalina Sibona ha dedicato alla sua esperienza - una  e trina per la verità - al Tor des Geants (il multiforme evento la cui dodicesima edizione è appena scattata) nella sua versione classica: quella da 340 chilometri appunto e 24.000 (ventiquattromila!) metri di dislivello. 

"Si può rallentare, ma di fermarsi non se ne parla".

Si rimane rapiti, una specie di groppo in gola, a leggere righe così. A tradimento, per così dire, voltata l'ennesima pagina. L'effetto può essere devastante. Per iniziati, certo, ma devastante. È  quella che amo definire la forza tranquilla, ma incrollabile e potente. Il rischio in questi casi è quello di anticipare troppo, rivelare più di quanto sia opportuno ancor prima che lecito fare. In qualche modo "spoilerare", come si dice oggi, il gusto pieno ed appagante di "correre" tra le pagine, ad occhi spalancati e cuore.... di più! Ci affidiamo quindi al nostro format preferito: quello dell'intervista-recensione, così che sia lo stesso autore a scegliere quanto e cosa offrire come anteprima. Ci prendiamo però la libertà di azzardare il senso ultimo di "Un giorno ancora - Il mio viaggio dentro il Tor" (Edizioni Effedì) , quello che raggiunge... per ultimo il traguardo perché forse è giusto che sia così: senza fretta, fino in fondo, ma al tempo stesso guardando più in là della passerella finale, dei cinque" dei bambini dietro le transenne, dell'arco d'arrivo, del sottofondo musicale (sottofondo mica tanto...) "epico" ed a tutto volume appunto, della fotocellula che scatta e della sentenza dei numeri rossi ed elettrici su fondo nero. Sappiamo che molti di voi sanno a cosa ci riferiamo. Perché dietro a tutto questo - oltre ed ancora (tenetelo bene a mente: oltre ed ancora) - occhieggiano già ulteriori missioni e la prospettiva inquadra nuove montagne. Contano quelle, per Guendalina.

GS: Al traguardo non ho quasi mai pensato. Anche alla mia prima partecipazione, tre anni fa, mi ero fatta una tabella da centodieci ore, senza nemmeno prendere in considerazione l’eventualità di un ritiro. C’era questo viaggio da fare, dall’inizio alla fine. All’imprevisto, pur non sottovalutandone la possibilità, non pensavo nemmeno. Nella mia testa c’era questa ‘passeggiatona’ da fare sulle Alte Vie, la priorità non era arrivare a chiuderla. Altre volte lo è, certo. Nelle gare più corte, lì ha un senso. Al Tor non ho mai pensato al traguardo perché mentalmente mi ero preparata a non contare i chilometri, tanto è vero che al polso non portavo nemmeno l’orologio che utilizzo per gli allenamenti ma lo swatch di tutti i giorni. Ero ovviamente conscia del percorso e dell’ubicazione delle basi-vita ma non ho mai pensato a quale chilometro mi trovavo e quanto mancava a Courmayeur. Anche all’ultima base-vita mi rendevo conto che il gioco stava finendo e poi avrei tagliato il traguardo e, quando lo fai, è ovvio che sei felicissima ma non era il mio obiettivo. Certo, volevo fermarmi, perché avevo i tendini infiammati ma… avrei voluto continuare oltre. In fondo è il senso del titolo del libro: un giorno ancora, un colle ancora.

GS: Con Luca Dalmasso, autore anche lui di un libro sul Tor (a giorni la relativa recensione-intervista su spormediaset.it, ndr) ci siamo confrontati a lungo su questo aspetto. A lui invece serviva chiudere il Tor, voltare pagina, chiudere un conto in sospeso. Per me no, in questo caso era diverso. Eravamo animati da tensioni diverse. Io volevo inizialmente raccontare questa cosa ai miei amici di Milano che sostanzialmente adesso sanno cos’è il Tor perché… hanno letto il libro e perché ho fatto loro una testa così…! Alcuni di loro non erano neppure nemmeno a conoscenza dell’esistenza del paesino di Ollomont prima di raggiungerlo per salire a salutarmi per cinque minuti al mio passaggio da quelle parti. Volevo in buona sostanza raccontare a chi non corre ed a chi non conosce già il Tor cosa significa passare giorni e notti tra i monti.

Il Tor des Geants "classico" Guendalina lo ha corso nel 2018 e nel 2019, entrambe le volte da "finisher", portandolo a termine. Due partecipazioni precedute e preparate dalla versione "concentrata" Tot Dret da 130K, quella che si sovrappone alla gara maggiore nel suo tratto finale (si fa per dire) da Gressoney a Courmayeur. La infaticabile ultrarunner milanese è in possesso di un'iscrizione già formalizzata  (doveva correrla nell'edizione 2020 cancellata a causa della pandemia) per l'ancor più estremo "Tor del Glaciers" . Rispetto alla prova da 330K, che segue con andamento antiorario il tracciato dell'Alta Via numero 2 a sud del fondovalle principale e poi quello della numero 1 a nord, la prova diciamo così definitiva del sistema-TORX "gira" più all'esterno e viaggia più ad alta quota: vista ghiacciai, appunto. Ed è tra l'altro riservata a chi ha corso almeno una volta il Tor des Geants, chiudendolo sotto le 120 ore (il tempo massimo per essere "finisher" è di 150). La nostra interlocutrice, che ci ha dato appuntamento al termine di un impegnativo "lungo" sulle montagne del Lecchese, ha per il momento scelto di  sfruttare la sua opportunità nel 2022 in quanto alla fine dello scorso inverno - al momento di indirizzare la preparazione della stagione agonistica - il panorama legato all'emergenza sanitaria non offriva certezze per questa edizione. Appuntamento a presto sulle... altissime vie quindi, Guendalina. Intanto, gettando solo per un istante lo sguardo all'indietro, ci dici quando è nata la tua passione per il trailrunning?

GS: Ho fatto la mia prima gara lunga alla fine di luglio del 2015: era il Giir di Mont (la grande classica sugli alpeggi di Premana, in Valsassina, ndr). Volevo fare il giro corto ma non c’era più posto e quindi ho fatto quella lunga da 32 chilometri. Poi ad ottobre 2016 ho corsa la UTLO (Ultra Trail del Lago d’Orta) da 90 chilometri. Quindi a metà luglio del 2017 mi sono classificata terza nella prima edizione della VUT (Valmalenco Ultradistance Trail), anch’essa da 90 chilometri, che resta una delle mie gare preferite, tra tutte quelle alle quali ho preso parte.

Prima e più ancora che una trailrunner, visionaria" nel senso migliore del termine ma anche molto e giustamente competitiva, tu tieni  a precisare di essere un'amante dei viaggi, anzi un viaggiatrice. Come abbiamo già visto inoltre, ad un viaggio - più ancora e forse anche prima che ad una gara - tu avvicini il Tor, o meglio il tuo Tor. E sottolinei il concetto mettendo più volte "in pausa" con il diversivo a tratti spiazzante dei ricordi dei tuoi viaggi del passato la narrazione ritmata, incalzante e per forza di cose ripetitiva di salite e discese, colli e rifugi, ristori e basi-vita, legata al fatto che le Alte Vie valdostane "tagliano" perpendicolarmente tutte le valli laterali che confluiscono in quella principale.

GS: Sì, ho raccontato anche altro perché il senso che volevo dare non era quello del resoconto della prova agonistica in senso stretto: quello lo leggi se lo fa Bosatelli. A me interessava trattare il Tor come viaggio, che poi credo sia il suo senso vero. Anche se conosco tanti che lo sentono come gara vera e propria... pur non essendo Bosatelli! Quindi non è del tutto vero che il Tor sia essenzialmente un viaggio… Per me sì però, quindi mi è venuto naturale mentre scrivevo raccontare quella dimensione lì del viaggiare e del viaggiare da sola incontrando però altra gente lungo la strada e facendo nuove amicizie. Mi ha ricordato tanto i miei viaggi e le esperienze che ho fatto nella mia vita, in giro per il mondo da sola. Mi piaceva questo parallelo.

Domanda secca: un nuovo Tor o un nuovo viaggio?

GS: Se devo scegliere, di primo acchito, beh scelgo sicuramente il viaggio, non c’è partita! In questo momento sono assolutamente al picco dell’irrequietezza da… impossibilità di viaggiare di questi ultimi due anni. Avverto la smania di partire. Il Tor ti porta a spasso, in una dimensione che non è quella normale, però io sono più viaggiatrice che non una che corre. Quindi se dovessi scegliere a bruciapelo tra - dico un posto a caso, la Mongolia - ed un ritorno al Tor, sicuramente dico la Mongolia. Che è poi una delle mete che ho in testa da tempo e che è stata in ballottaggio con la Patagonia, uno degli ultimi viaggi che ho fatto. 

Quando ripensi alla tua esperienza tra i giganti valdostani, privilegi l'aspetto paesaggistico o quello umano? Paesaggi oppure incontri, i panorami oppure i dialoghi?

GS: È un bel match! Mi sono innamorata dei panorami e dei passaggi della Valle d’Aosta quando ho iniziato a frequentarla per provare il tracciato del Tor nel 2017, quando mi sono iscritta al Tot Dret Gressoney-Courmayeur da 130 chilometri. Se devo però ripensare all’intero contesto della gara, le emozioni vere e tutto quello che sta intorno, credo che direi (ed avviene la stessa cosa per i miei viaggi) che a restarmi maggiormente impressi sono sempre stati gli incontri. Da una parte quelli con gli altri concorrenti (ed i viaggiatori che incontro quando sono in giro per il mondo): insomma, chi sta nella tua stessa posizione ed ha la tua stessa prospettiva. Poi ci sono però anche gli incontri con i locali. Quando sono andata in Sri Lanka mi piaceva passare tra le bancarelle dei mercati e fermarmi a parlare con i venditori. Allo stesso modo durante il Tor con i volontari, con il personale dell’organizzazione lungo il tracciato, con gli abitanti delle località toccate dal percorso, ma poi anche con chi non si trova lì per la gara: turist ed escursionisti, gente in vacanza per i fatti suoi. Nel 2018 ho incontrato una famiglia di Bologna al Rifugio Deffeyes, mi sono fermata ad accarezzare il loro cane, ho chiesto loro di fare il tifo per me. Mi hanno seguita sul live quella volta e poi anche l’anno dopo solo per potermi intercettare alla base-vita di Ollomont. Per me è stato importante, poi sono anche andata a trovarli a casa loro! Questa cosa, le amicizie che nascono in questo modo, per me è pazzesca. È stato lo stesso con Luca (Dalmasso, ndr). Con lui poi siamo legatissimi, anche per via dei nostri libri sul Tor, abbiamo avuto più occasioni di frequentarci. Al Tor mi è capitato con diverse persone. Anche con lo scrittore Simone Sarasso, che mi ha anche dato una mano a trovare un editore per il mio libro. Oggi come oggi, per via dei social, restare in contatto con tante persone è relativamente facile. Che saltino fuori amicizie vere però è decisamente qualcosa che va oltre.

Ecco, oltre. Ci siamo.

Mi viene in mente questo pensiero, letto chissà dove, chissà come e chissà quando, ma non più dimenticato: "Non confonderò la tappa con la vetta, e non confonderò l'orizzonte con il termine della mia speranza". Il senso del Tor di Guendalina, ciò a cui facevamo riferimento all'inizio, alla fine sembra risiedere (meglio: muoversi) "oltre", non solo "ancora". Avverbi di luogo e di tempo che, se ci pensate, hanno entrambi emblematicamente a che fare con una gara-viaggio tra i Giganti della Valle d'Aosta (quelli di ghiaccio e roccia ma anche quelli in carne, ossa e... molto altro ancora). Ed hanno a che fare - oltre ed ancora... una volta - con l'irrequietezza, la fame di conoscere e di vivere, la curiosità che si autoalimenta e si rigenera nel momento stesso in cui viene soddisfatta: il traguardo che reclama un nuova partenza, insomma. Per noi, il messaggio di Guendalina è in buon sostanza questo.

"Quello che fino a ieri nella mia mente era ancora un giorno, diventa un giorno ancora".

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