Quale il giusto equilibrio tra competizione, avventura e tutela dell'incolumità dei trailer?
Condizioni ideali nel fondovalle ma nebbia in quota, cieli tersi alla partenza però vento forte sulle creste. Oppure pioggia battente, tutto il tempo e dappertutto: sotto l’arco della partenza, dentro boschi e foreste, tra bocchette e pietraie. Con i loro dislivelli, estremi quanto le distanze da coprire, e soprattutto il loro contesto ambientale, le gare di skyrunning sulle Alpi sono soggette all’imprevedibilità delle condizioni meteo, anche e soprattutto nella “bella stagione”.
Itinerari suggestivi, di grandissimo fascino e di altrettanto cospicuo tasso tecnico, talmente al limite da lambire ed un attimo dopo scavalcare … la sottile linea rossa, costringendo organizzatori e promoter ad alzare bandiera bianca, proponendo al loro posto percorso alternativi che in nessun caso possono soddisfare gli skyrunners. Certo, ogni evento ed ogni circostanza fanno storia a sé e chi ha l’ultima parola non ripiega mai a cuor leggero sul piano “b” che, oltre a scontentare praticamente tutti, a lungo andare danneggia la reputazione stessa della prova.
Ho un’immagine di questa stagione impressa nella memoria. Trofeo Kima di fine agosto: partenza rinviata per presenza di ghiaccio e vento sulle vette della testata della Val Masino. Alla fine l’organizzazione, fatte attentissime valutazioni, decide di conservare il tracciato di gara originale: la “carica” di entusiasmo dei concorrenti all’annuncio mi mette i brividi ancora adesso. E si trattava di andare incontro (ma non “senza rete”, ed è questo il punto qualificante) a cinquantadue chilometri di fatica massacrante ed oltre quattromila metri di dislivello positivo che ai più – Kilian e pochi altri a parte – avrebbe richiesto nove-dieci ore di impegno totale. Una giornata di vento forte, una nevicata fuori stagione, una pesante perturbazione temporalesca sono eventi imparabili … o quasi.
Lo scorso mese di luglio ho assistito ai tormenti degli organizzatori della VUT (Valmalenco Ultradistance Trail). L’integrità della seconda edizione era messa a rischio dal pesante maltempo in arrivo. Con grande rammarico appunto si è optato per tagliare le sezioni più alte ed “inaccessibili” (in caso di emergenza) dell’itinerario. Riducendo il chilometraggio di soli diciassette chilometri (sui novanta originali) la VUT è andata regolarmente in scena dentro uno scenario fatto di lampi, tuoni e pioggia torrenziale, anche e soprattutto nelle prime ore di gara, in piena notte. Da elemento di pericolo il maltempo si è però trasformato in una risorsa, compensando a livello di spessore per i diciassette chilometri mancanti e rendendo la giornata a suo modo memorabile. E tutto questo con un tasso di rischio ampiamente accettabile.
Insomma, se la bravura degli atleti si vede nella capacità di continuare a correre anche sulle rampe più ripide e di compiere vere e proprie acrobazie nel “downhill”, quella degli organizzatori emerge nell’abilità di garantire sempre e comunque la sostanza, al tempo stesso salvaguardando la sicurezza (di più, l’incolumità) degli atleti: i top runners come gli skyrunners “normali”. Mi vengono in mente le parole di Alberto Zaccagni, uno degli organizzatori della Skyrace del Grignone, al briefing pregara sulla linea di partenza: “Corriamo in montagna, la montagna ha il rispetto”. La ricetta vincente deve proprio essere questa, ma serve tanta esperienza (che non si trova certo ai lati del sentiero) per distinguere fino a che punto ed in che modo coraggio, passione e determinazione possano dialogare in modo efficace e sicuro con il rispetto per la montagna.
Dopo due anni di percorso alternativo (causa maltempo) alla ZacUp 2018 era imperativo poter tornare al Rifugio Brioschi, in vetta alla Grigna Settentrionale. La nebbia non si è mai sollevata dalla parte alta del percorso ma volontari e soccorritori erano tutti pronti e ben distribuiti lungo il percorso, i collegamenti con il “campo base” di Pasturo perfettamente efficienti. Solo l’elicottero è rimasto fermo nel suo “nido” d’alta quota, la piazzola appena sotto la vetta. Ma le immagini straordinarie che avrebbe dovuto consentire di girare non sono comunque mancate: solo che le hanno “registrate” gli occhi degli spettatori saliti in quota e soprattutto il cuore di chi era in corsa. Le possiamo “vedere” solo chiedendo a loro di raccontarcele. E, per una volta, va bene così.