Ad un mese e mezzo dalla sua performance “velocistica” sull’ottava vetta del pianeta, l’alpinista valdostano condivide con noi il racconto coinvolgente di una scalata da primato in stile alpino
Sono le dieci in punto del 26 settembre scorso quando François Cazzanelli raggiunge la vetta del Manaslu: di per sé un exploit di primissimo piano ma questa volta … c’è di più. Si perché il 29enne alpinista di Cervinia (già in vetta ad Everest e Lhotse l’anno scorso) raggiunge lungo la via classica di salita il punto culminante (8163 metri) dell’ottava vetta della Terra nel tempo record di diciassette ore e 43 minuti. Dalle 21.00 del 25settembre alle 10.00 del 26 appunto: tredici ore esatte per salire, quattro ore e quarantatre minuti per tornare al campo base, comprensivi di una ventina di minuti di sosta in vetta. Il tutto rigorosamente in stile alpino, pulito e leggero, portando quindi con sé su “gigante” nepalese tutto il proprio materiale e senza fare ricorso all’ossigeno supplementare. Un’avventura, quella della Guida Alpina del Cervino, dallo sviluppo di quarantaquattro chilometri e 3280 metri di dislivello (in salita e poi in discesa), portata a termine abbassando di tre ore e 31 minuti il record precedente, che era stato realizzato quasi esattamente cinque anni fa (il 25 settembre del 2014) dal polacco Andrzej Leszek Bargiel.
In vetta in giornata dopo Cazzanelli – ed a completamento del successo di squadra della spedizione - anche i suoi compagni Marco Camandona (per lui nono ottomila della propria “collezione”), Emrik Favre, Francesco Ratti e Andreas Steindl (tutti e tre invece al loro primo ottomila). L’elvetico Steindl (assiduo compagno di François in questo genere di imprese in velocità,anche sulle Alpi) ha affiancato il “nostro” nella prima parte della salita, rendendosi comunque protagonista di un’eccellente prestazione in stile “one push” da ventuno ore e trenta minuti (sedici soli minuti più di Bargiel). Nei giorni scorsi Cazzanelli ha voluto condividere il racconto praticamente in presa diretta della sua avventura sul Manaslu, della quale avevamo dato conto nell’immediatezza del risultato. Gli abbiamo quindi chiesto di riprenderla su Sportmediaset.it e di darle così ulteriore e meritatissima risonanza. Anche perché non si tratta nemmeno dell’unico exploit di questo tipo per François che, nel 2018 (il 12 settembre insieme a Steindl, naturalmente), aveva realizzato il concatenamento delle quattro creste del Cervino (Hoernli, Furggen, Zmutt e Leone) in sedici ore e 4 minuti, abbassando di sette ore il primato precedente , realizzato nell’ormai lontano 1992 da Hans Kammerlander e Diego Wellig. E poi ancora, la scorsa estate (19 luglio) l’integrale della Cresta di Peuterey sul Monte Bianco in quindici ore e 55 minuti.
L’autunno 2019 è stato anomalo per la catena himalayana. In Nepal le stagioni migliori per scalare sono quella post e pre monsoniche, ovvero l’autunno e la primavera. Quest’anno purtroppo il monsone si è trattenuto su tutta la catena fino ad autunno inoltrato, creando svariati problemi a tutte le spedizioni e non solo a noi.
Su trentasette giorni di spedizione abbiamo avuto solamente tre giorni di tempo bello e stabile ovvero solo settantadue ore senza precipitazioni. Oltre a questi tre giorni, le giornate migliori erano quelle dove dalla sera fino a tarda mattinata avevamo un’interruzione delle precipitazioni ed alcune schiarite parziali del cielo. Tutto questo non è stato del tutto negativo, infatti questa situazione di tempo perturbato ha fatto sì che anche in alta quota le temperature non siano mai state troppo rigidi e il vento mai eccessivamente forte.
La nostra spedizione aveva due obbiettivi: il primo era quello di tentare la vetta del Pangpoche, aprendo una via nuova sul versante nord-ovest, in stile alpino, utilizzando come campo base il villaggio di Samagoan che si trova a una quota di 3500 metri. Il secondo (ma solo in ordine di tempo) era il Manaslu, l’ottava montagna più alta della terra, con i suoi 8161 metri. Questa montagna mi ha da subito stimolato l’idea di provare una salita in velocità, che a mio parere era una logica evoluzione di ciò che ho fatto sulle Alpi negli ultimi anni. Prima di me questa salita era già riuscita ad Andrzej Bargiel che il 25 settembre 2014 ha salito e sceso (parzialmente con gli sci) il Manaslu in 21 ore e 14 minuti.
La nostra spedizione inizia con un meteo veramente pessimo che ci accompagnerà per tutto il trekking. Per l’avvicinamento scegliamo la via più breve che, con un giorno di jeep e quattro a piedi ci porta direttamente al villaggio di Samagoan che sarà il nostro campo base per il Pangpoche. La nostra idea è quella di salire per primo il Pangpoche, in modo da sfruttare in seguito l’acclimatamento sul Manaslu. Iniziamo subito ad esplorare il Pangpoche: la nostra idea è quella aprire una via sul versante nord, ovvero quello verso il Manaslu. Dopo vari giri decidiamo che la cresta nordovest ci offre un avvicinamento più sicuro e quindi diventa subito il nostro obbiettivo.
Ci muoviamo subito e in una giornata di pioggia portiamo una parte di materiale alla base della cresta a circa 5100 metri. Dopodiché scendiamo al villaggio per riposarci un paio di giorni e aspettare il bel tempo. Purtroppo passano i giorni, il meteo non migliora e le tempistiche iniziano a remarci contro. Prendiamo una decisione rischiosa: decidiamo di invertire il programma e quindi di salire direttamente al campo base del Manaslu e cominciare ad acclimatarci sulla via normale. Non perdiamo altro tempo, prepariamo il materiale ed il 13 settembre siamo al base. Il giorno seguente siamo già operativi e saliamo subito al campo 2 a 6400 metri. Il 15 settembre tocchiamo quota 6600 e discendiamo al base a riposarci. Sulla montagna c’è molta neve. Fortunatamente sulla via normale le condizioni sono buone ma è assolutamente impensabile tentare altre vie. Nel giro di una settimana finiamo il nostro acclimamento toccando i 7200 metri di quota e dormendo a 6800. Adesso non ci resta che riposarci e aspettare una finestra - anche minima - di tempo asciutto. Finalmente la meteo gira dalla nostra e sembra darci una chance per il 26 settembre. La finestra sarà breve ma sembra darci delle ottime condizioni meteo: assenza di vento, cielo abbastanza sereno e temperature buone dal 26 notte fino a mezzogiorno. Quindi si può fare. Adesso tocca a noi!
Marco, Francesco e Emrik hanno in programma di partire il 25 mattina, salire al campo 3, riposare alcune ore e a mezzanotte partire direttamente per la vetta. Io e Andy invece partiremo alle 21.00 dal campo base per arrivare in vetta la mattina del 26. Finalmente arriva il 25 settembre, è stato un grosso sforzo mentale vedere i nostri soci partire e noi rimanere al campo base ad aspettare. Durante la giornata mille pensieri mi tormentano. Ce la farò? Avrò fatto la scelta giusta?
Poi finalmente arriva la sera. Ceniamo con il mio amico Mario Casanova che ci incoraggia il più possibile, finiamo di prepararci. Ricontrolliamo per l’ennesima volta di aver preso tutto, usciamo dalla tenda e andiamo al Chorten. Prendiamo un po’ di riso e lo lanciamo in aria come segno di buon auspicio per la scalata eD in quel momento ci rendiamo conto che sopra di noi ci sono le stelle. Salutiamo Mario e ci dirigiamo verso la lapide dell’alpinista Iraniano Jafar Naseri che si trova nella parte alta del campo base: abbiamo deciso di far partire e di stoppare da lì il tempo perché è l’unico punto fisso del campo.
Ci stringiamo la mano facciamo partire l’orologio e … via, si parte!
Andy si mette a fare il passo e io lo seguo a ruota, Mario ci insegue per fare qualche foto e video ma dopo un po’ non vedo più la sua frontale dietro di noi. Partiamo forte e in un’ora raggiungiamo il campo 1: si stava bene non faceva freddo e tutto sommato essere soli su quella montagna era molto piacevole. Arriviamo sotto la seraccata chiamata “Occhio”, calziamo i ramponi, beviamo qualcosa e ripartiamo. In circa due ore e un quarto raggiungiamo il campo 2. Il freddo inizia a farsi sentire e decidiamo di vestirci: mettiamo i pantaloni in piuma e gli scarponi da ottomila e lasciamo lì le scarpe più leggere. Andy allunga il passo ed arriva circa cinque minuti prima di me al campo 3. Fin qui siamo saliti bene rispetto alla nostra tabella di marcia, sulla quale abbiamo circa un’ora e mezza di vantaggio. Indossiamo il piumino d’alta quota e lasciamo nella tenda dei nostri compagni un po’ di cibo ed una coccola per la discesa. Rapidamente arriviamo a 7000 metri e lì le cose si complicano: improvvisamente si alza il vento e, poiché sulla montagna c’è molta neve, ad ogni folata sembra di essere dentro una bufera. Ma la cosa peggiore è che la traccia si riempie di neve. Fino a quel momento era perfetta, ma da lì in poi ci tocca rifarla tutta. Ogni tanto ci sono venti, ogni tanto 30 centimetri e la progressione diventa molto più faticosa. Tracciamo un po’ per uno ma comunque rallentiamo molto, arriviamo al campo 4 a 7400 e ci rendiamo conto che tutto il vantaggio che avevamo è svanito e quindi adesso siamo in linea con la nostra tabella. Decidiamo di fare l’ultimo pezzo scarichi e lasciamo gli zaini al campo. Saliamo una prima rampa e ci rendiamo conto che ormai sta albeggiando; é un momento bellissimo: finalmente vediamo la punta ed in lontananza anche i nostri amici. In quel momento mi carico tantissimo, come se fossi in trance agonistica. Aumento il passo e raggiungo Emrik e Francesco. Scambio con loro due parole, beviamo assieme e riparto: voglio raggiungere Marco che è circa cento metri più avanti. Raggiungo Marco, che nel frattempo mi ha fatto alcune foto, mi fermo davanti a lui: in quel momento mi accorgo che Andy ha rallentato il passo. Riparto con Marco ma continuo a voltarmi per cercare Andy. Un paio di volte gli urlo per incoraggiarlo ma la distanza tra noi aumentA … Nella mia testa mi dico che sta rallentando perché è la prima volta che sale a quote così alte. Finalmente Andy raggiunge Francesco eD Emrik e in quel momento tutto mi diventa più chiaro e mi tranquillizzo.
Io farò gli ultimi cinquecento metri con Marco, mentre Andy proseguirà con Emrik e Francesco: adesso anche lui non è più solo e la cosa mi solleva. Mi riconcentro e cerco di pensare per me: non è stato facile lasciare indietro Andy: prima eravamo in due mentre adesso ognuno deve pensare per sè e il gioco cambia. Mi metto dietro a Marco che ha un ottimo passo: lo seguo perché è molto regolare e riusciamo a fare anche trenta-quaranta passi consecutivamente: un'ottima cosa a quelle quote. Arriviamo sotto l’ultima rampa, dove passo davanti perché mi sento bene e forzo un pelino per superare un gruppetto di alpinisti e sherpa. Marco rimane un po’ indietro ma segue senza grossi problemi. Di colpo arrivo sulla cresta finale e davanti a me trovo il mio amico Pemba con due clienti: appena mi vede apre la tuta e mi da un goccio di Coca-Cola, assicura i clienti e mi lascia passare.
Questo è uno dei momenti più intensi che ho vissuto in montagna perché il gesto di Pemba a ottomila metri ha un valore immenso: vedo la vetta vicina, Pemba mi incoraggia mentre Marco arriva in cresta e scatta alcune foto: ormai ci sono! Nella mia testa conto ogni passo mentre vedo la cresta che pian piano finisce e di colpo mi ritrovo su un mucchio di bandierine tibetane: ce l’ho fatta, sono in vetta! Guardo l’orologio: sono le dieci in punto. Ho impiegato tredici ore dal campo base alla punta. Mi giro, guardo verso il basso ed anch’io inizio a scattare delle foto a Marco e Pemba. Prima arriva Marco con cui ci abbracciamo: è un momento bellissimo è il nostro secondo ottomila assieme. Arriva anche Pemba ed iniziamo a scattare un sacco di foto. Siamo euforici, beviamo, mangiamo e ci godiamo il momento: in totale restiamo più di mezz’ora in vetta. Ad un certo punto Marco mi guarda e mi dice: “adesso muovi il culo e scendi”!
Ci salutiamo e riparto: ripercorro la cresta e ritorno sul pendio finale dove, per risparmiare le energie, scendo un po’ con il sedere tipo un bob. Circa trecento metri sotto la vetta trovo Andy Francesco e Emrik: li incito dicendo loro che ormai manca poco e che devono stringere i denti. Chiedo a Andreas come sta e mi risponde: “ça va maintenant je susi avec le copain: descend tranquille”. Lo guardo, ci abbracciamo e riparto! Scendo deciso fino al campo 4 e poi da lì inizio ad avere male ai piedi. Mi sembra di scendere piano al campo 3, entro nella tenda degli altri, prendo la mia roba bevo un po’ di Coca. Riparto subito. I piedi mi fanno male e mi sembra che il tempo non passi più, ma finalmente arrivo al campo 2. Cambio le scarpe, mangio qualcosa e mi accorgo che i piedi vanno meglio e che tutto sommato sto scendendo bene. Riparto, nella mia testa continuo a ripetermi che manca poco e che devo tener duro, ogni tanto riesco anche a correre: allora prendo coraggio e scendo ancora più forte. Inizia a piovere, sono fradicio ma devo scendere. Arrivo al C1 dove non mi fermo e continuo fino alla fine del ghiacciaio dove tolgo i ramponi: ormai ci sono! Cammino veloce ma molto attento. Non mi va di cadere e prendere colpi. Vedo le prime tende, accelero e finalmente arrivo alla lapide fermando il cronometro dopo diciassette ore e 43 minuti.
Riparto subito, sono bagnato e ho freddo. Arrivo al nostro campo e mi tuffo nella tenda cucina, perché è la tenda più calda di tutto il campo! Entro e tutti mi guardano con aria stupita. Penseranno: “cosa ci fa già qui”? Mi danno un caffè e inizio a scaldarmi. In quel momento entra Mario che inizia ad abbracciarmi e dirmi: “ma ti rendi conto di cosa hai fatto?”. Gli rispondo di non averlo chiaro … Hh freddo e fame. Intanto il cuoco mette su delle patate e poi arriva Tashi, il capo della nostra agenzia, con un cassa di birre: inizia la festa.
Mi sento meglio; arrivano un sacco di sherpa e tutti mi abbracciano. Restiamo circa tre ore lì e poi di colpo arriva anche Marco. Ci abbracciamo e poi ancora birra. Verso le 18.30 arriva anche Andy: ci cambiamo e mangiamo poi aspettiamo Emrik e Francesco per fare ancora un brindisi e mangiare una bellissima torta con la scritta “Manaslu Summit”. La cosa più bella di questa avventura è che l’ho condivisa con un gruppo speciale di amici con i quali ho sempre affrontato tutto con il sorriso!