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TRAILRUNNING

Torno... sabato: Snow Run Resinelli, stargate spazio-tempo con vista sul lago

Il classico appuntamento lecchese ha dato il via alla stagione delle corse con i ramponcini sui sentieri con neve e ghaccio

di Stefano Gatti
25 Gen 2025 - 16:42
 © Snow Run Resinelli Winter Trail Press Office

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C’è chi si è dileguato di buon mattino nonostante lo sparo di partenza postprandiale, chi ha eluso la consorte in agguato con la lista della spesa settimanale, chi ha seminato figli e relativi amichetti da accompagnare alla partita del sabato, c’è infine chi ha bellamente derubricato a defaticamento domenicale le incombenze di giardinaggio, lavaggio auto e conferimento di rifiuti ingombranti al compattatore. Tutto questo con fare furtivo e qualche senso di colpa qua e là nel retrobottega della coscienza. Ma come fai a rinunciare alla prima gara dell’anno, soprattutto se si tratta di un’occasione particolare come quella di Snow Run Resinelli Winter Trail sull’omonimo balcone panoramico acquattato tra la parete sud della Grignetta e - laggiù in basso - la città di Lecco formicolante di tutte le incombenze di cui sopra e magari altro ancora. Indeciso come sempre se considerarmi (indegnamente) parte di una piccola comunità che a volte è poco più di una setta ma virtuosa (quella degli skyrunners dodici mesi all’anno), accetto l’invito di Alberto Zaccagni e Daniel Antonioli e stacco il mio terzo pettorale per l’evento dal quale quest’anno “muove” il calendario di NORTEC SkySnow Running Cup. Punto a stare dentro le due ore di gara, per non peggiorare troppo il tempo della mia ultima partecipazione nel 2023 (i primi impiegano la metà del tempo, tutto nella norma!), non senza ripensare al mio esordio da queste parti nel 2020, quando si correva a febbraio. Pensiero intrinsecamente piacevole ma anche un po’ sinistro perché in tempi brevissimi (già all’indomani a Wuhan) sarebbe scattato il famigerato lockdown. Sono passati (quasi) cinque anni e si sentono tutti: gambe - ginocchia soprattutto - e polmoni protestano da tempo e vivacemente ma la testa... la testa no, lei non ne vuole proprio sapere. Eppure, nonostante le controindicazioni, per una volta non tornerei indietro!

© Snow Run Resinelli Winter Trail Press Office

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Per dirla alla moda del cinema, parafrasando una pellicola con Al Pacino mattatore assoluto, eccoci "belli" pronti per un pomeriggio di un giorno... da sani! Incrociamo tutti e duecento senza particolari meriti la prima giornata di temperature decenti del nuovo anno, tanto che alcuni di noi optano per un outfit primaverile o quasi, dal quale mi astengo senza ripensamenti: prima di tutto perché sono dal punto di vista filosofico tendenzialmente freddoloso (cari amici amanti dell’inverno, abbiate pazienza) e poi perché adesso (le ore quattordici) si sta benino ma tra due ore (quando io tornerò al campo base qui nel cuore dei Resinelli) vi voglio proprio vedere: i raggi del sole - già in viaggio per altre longitudini - non scalderanno più neanche il Portogallo e la colonnina sarà in caduta libera. Chilometro zero ad andatura controllata ma dipende dai punti di vista e comunque - a giudicare dalle gomitate - non per tutti (cos’è che non avete capito, il cronometro non è ancora scattato) verso il vero via del Parco Valentino che occupa il settore sud dell’altopiano, vale a dire quello che (delimitato dal Monte Coltignone) affaccia sul ramo lecchese del Lario là sotto. Alla nostra sinistra l’inconsueta presenza (vagamente aliena) del caratteristico grattacielo che a me sembra opera di un architetto della controversa ma importante corrente brutalista. Sembra dire: che ci faccio qui invece che in Piazza della Conciliazione a Milano? Deve risalire agli anni Settanta (peraltro bellissimi), quando tutte le stazioni alpine andavano dietro al modello transalpino Val d’Isère e via dicendo allons enfants de la patrieeeee… Eppure sarebbe molto snob possedere un appartamentino qui: base… per altezza, mi viene da dire. Pronti via e duecento invasati in fuga da responsabilità familiari e personali di cui all’inizio si scatenano alla “conquista” della boscosa vetta del Coltignone, prima missione(e GPM-gara) di un doppio anello incrociato da quattordici chilometri e (ufficialmente) 650 metri di dislivello positivo: il mio Garmin però me ne ha restituiti (grazie tante, non dovevi) settecentocinquanta, non so voi! Molto probabilmente a complicare le cose (e i conti) c'è il blackout-galleria!

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Sulla rampa che sale dritta come una freccia lungo il fianco del “Colti” (ingiustamente trascurato tra Grignette, Grignoni, San Martini e Resegoni) un pensiero improvviso: “Ma quanto corrono tutti? Butta male, mi sa che mi fermo”. Poi vedo il pubblico a bordo strada, sento gli incitamenti e c’è pure uno che sventola il tricolore. Non sono mica lì tutti per noi, è sabato pomeriggio e non è mica obbligatorio attaccare il pettorale per darsi alla macchia sfuggendo carrelli e rastrelli, però la “ola” mi risucchia verso l’alto, il peggio è passato. Torno lucido: “Solita menata: devo stringere i denti e sopravvivere fino al quinto o sesto chilometro. La mia... uscita dal tunnel si trova da quelle parti. A quell'altro tunnel pensiamo verso il chilometro dodici o giù di lì.

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La pendenza si abbatte girando intorno alla sommità, senza ancora raggiungerla (anzi, non ho ben capito se la traccia-gara la tocca o meno). Cima Paradiso: per me, l’anticamera dell’inferno. Ci affacciamo sul lago, la città di Lecco, gli appena più distanti laghetti prealpini (oltre il Monte Barro) e le ondulazioni brianzole: insomma i relitti dell’era glaciale. Sul sentierino single-track che torna a salire a rampe siamo assaliti da una vampa piacevolissimevolmente tiepida: una sorta di stargate meteorologico, una finestra spazio-temporale (di breve durata) che ci trasporta avanti nel 2025 di un paio di mesi. Chiederò lumi sul fenomeno nell’immediato dopo-gara e sarà proprio il guru local Antonioli (oggi impegnato nelle vesti di cameraman veloce sul percorso) a confermarmi la presenza di una sorta di corrente ascensionale calda in risalita da quota-lago.

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Smarcato il passaggio nel punto culminante dell’intero itinerario, un breve tratto nel rado bosco ci porta al punto di controllo dove (per calarci nelle atmosfere manzoniane proprie di queste contrade) alcuni “bravi” - in questo caso senza connotazioni negative, anzi - ci intimano l’alt per montare sulle scarpe da trail i ramponcini obbligatori per superare l’incombente “schuss” ghiacciato. È ora di calzare i NORTEC che ho fin qui tenuti ripiegati in mano sulle mie Cascadia 19 by Brooks. Poi via dritto per dritto lungo la scarpata, anche se voci di corridoio mi hanno riferito che qualcuno si è più saldamente abbassato lungo i lati meno ghiacciati del pendio (ramponcini regolamentari rigorosamente “on”, s’intende!). Tempo due minuti e ne siamo fuori. Via i ferri del mestiere per una svolta a sinistra che introduce un lungo traverso dentro il bosco. L’attacco del tratto è ugualmente ghiacciato, ma in modo subdolo e impercettibile. Il volontario mi avverte: “Occhio qui sotto”. Troppo tardi, sono già sul sedere e atterro con la mano che stringe i ramponcini: la “firma” delle loro punte ce l’ho sul palmo della mano ancora adesso mentre scrivo. Ho anche la foto, ma è un po’ “pulp", quindi ve la risparmio.

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Cambio di rotta e giù ancora a capofitto fin dentro l’ampia radura del piano inclinato di Prà della Nave: origine del nome? Mah, chiederò la prossima volta. Nel punto più basso, svolta secca a destra in salita tra due baite, thé bollente al tavolino del ristoro, sorriso a favore di fotografo per uno scatto da conservare gelosamente con la Grignetta sullo sfondo (giusto un attimo, poi posso riprendere la mia espressione agonizzante) e tornante a sinistra per intraprendere il ritorno tutto a saliscendi verso il passaggio intermedio al campo-base. È proprio qui che qualcuno sbaglia strada e tira dritto prima di accorgersi della svista e girare gli inesistenti tacchi delle scarpe da trail.  

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Sulle salitelle e le discesine del tratto che segue sono “pacificamente” ingaggiato con Pietro Locatelli di OSA Valmadrera. A non più di cinquecento metri dall’approdo alla chiesetta del Sacro Cuore, boa di metà gara o poco più, la voce dello speaker annuncia l’arrivo (al traguardo finale, però!) del mitico Marco De Gasperi: quarto classificato. Affianco Pietro e gli dico: “Due anni fa sono arrivato qui mentre Del Pero vinceva, oggi addirittura a cose fatte per tutto il podio. Va sempre peggio! Dove andremo a finire, ma soprattutto quando la finiremo noi?”. Pietro è molto più filosofo: “Mi basta portarla a casa”. Lo farà un paio di posizioni davanti a me: bravo! Rampetta vertical verso il fianco del tempietto, per il secondo pit stop di giornata dopo il punto di montaggio-ramponcini. Stavolta tocca ritirare casco e frontale già montata sopra che servirà per il tratto indoor che ci aspetta nel finale e che rappresenta il vero marchio di fabbrica di questa prova. Dopo la voce dello speaker che annuncia l’arrivo dei big, anche la ridotta quantità di set casco-frontale rimasti da ritirare mi restituisce in modo inequivocabile il mio posizionamento “diversamente gi-pi-esse” nei bassifondi della classifica. Il volontario che mi legge il pettorale da lontano mi tira addosso il casco con il lodevole intento di farmi perdere meno tempo possibile, manco fossi Leclerc al pit stop della Ferrari a Monza. Farebbe più chic dire Hamilton di questi tempi (e io sono un ammiratore di sir Lewis) ma io - a proposito di monosillabi stranieri - sono molto più snob che chic, l’ho già detto.

La differenza sta nei dettagli: mentre i big prendono… l’elmo al volo e via, io mi fermo, lascio un attimo i ramponcini a terra e mi allaccio per bene il casco, manco fossi Jacky Ickx alla partenza della 24 Ore di Le Mans. Questa è solo per pochi e per superintenditori di motorsport âgés (il motorsport e anche gli intenditori). Il casco stesso sembra dirmi: “Ma che ti eri per strada? Eravamo rimasti in quattro… Gatti, che figure mi fai fare tutte le volte”.

Pochi passi nel prato per l’attacco dell’anello finale e sono ad una manciata metri dalla Kona nel parcheggio. La tentazione è forte: mi alleggerisco dei ramponcini con il pungiglione e li mollo nel bagagliaio, però mi sa che sono "borderline con il regolamento". Massì, tiriamo dritto così, sono già abbastanza indietro. Asfalto per lasciare la stazione e sentiero ad aggiramento progressivo dei Corni del Nibbio sulle loro fondamenta orientali. È un “tutto a destra” continuo (prima in leggera salita, poi in discesa sempre più pronunciata) fino all’inversione che porta a disegnare (stavolta verso sinistra) il fondo della valletta che porta all’ingresso della vecchia Miniera Anna, secondo stargate di giornata dopo quello di Cima “per me diversamente” Paradiso.

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L’inversione è anche questa volta a doppia trazione spazio-temporale. Sì perché il formato indoor dell’antro minerario mi fa pensare ai passaggi nelle cantine delle aziende vitivinicole (versante retico) della Valtellina Wine Trail marathon di due mesi abbondanti fa: gallerie e sale, cunicoli e rampe di scale: quasi la stessa luce soffusa e accogliente, quasi la stessa densa umidità: lo scorso autunno di mosto, qui di terra e fango. Non amo stare in ambienti troppo… opprimenti, tantomeno sottoterra (già ci devo passare l’eternità). E per quanto riguarda la corsa, sto davvero bene solo sulla prateria d’alta quota e sulle rocce, ben sopra la vegetazione d’alto fusto e i boschi che trovo un po’ troppo “spleen” e malinconici, soprattutto in autunno e inverno. Dentro questa miniera però mi trovo benissimo, forse perché ne conosco già il percorso, che ho assaggiato altre due volte appunto in modalità race, anche a suon di zuccate (con il casco, per fortuna!). Non riesco a correre qui dentro ma me la godo tutta, tirando il fiato in vista delle susseguenti rampe che - di nuovo a cielo aperto - riportano “muscolarmente” sul piano stradale del… primultimo chilometro. Non ho una mia foto2025 nel camino della miniera: sono così indietro che incontro l’amico fotografo Giacomo Meneghello ormai fuori dalla galleria, di rientro verso il traguardo. Quindi poco sopra ne ho messa una di due anni fa (sempre by GM), giusto per rendere l'idea: la miniera è la stessa, io invece no: sono più stagionato e più lento.

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Approdato sulla strada dalle parti dell’ingresso del Parco Valentino (a poche decine di metri dal grattacielo), mi guardo intorno per annusare eventuali pericoli: nessuno che mi possa più prendere e nessuno da raggiungere: posso correre in scioltezza a ritroso quello che era stato il chilometro zero ad andatura “controllata” (sì vabbeh) e rientrare al campo base con lo stesso tempo (un'ora e cinquantacinque minuti) di due anni fa. Missione "under two hours" compiuta. Lo so, è un tempo scarso ma appunto ho "tenuto botta" e me la faccio andare bene. Taglio il traguardo al centro della piazzetta per fiondarmi (quasi senza smettere di corricchiare) verso la mia vaschetta di polenta taragna: densa, caldissima, filante, una goduria! Da accompagnare tra poco con la immancabile birretta fresca insieme agli amici. Si può chiedere di meglio da un sabato pomeriggio nella terra di mezzo tra le festività ormai lontane (meno male) e la agognatissima primavera, della quale aspetto con ansia di notare le prime tracce in mezzo ad un prato e nell'aria? 

© Snow Run Resinelli Winter Trail Press Office

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