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Trairunning: la LimonExtreme, Indian Summer sul Garda

Il racconto "da dentro" di un trail estremo tra campioni e "gente comune"

16 Ott 2018 - 11:44

Ma dov’è Limone …???”. L’interrogativo se lo pone, sottovoce, il concorrente che mi precede lungo l’ennesima rampa e riesco a sentirlo giusto perché sono a pochi passi da lui. In realtà Limone sul Garda è proprio laggiù, sotto di noi e la superficie tranquilla del Benaco nella luce di un pomeriggio ancora praticamente estivo è un punto di riferimento piuttosto evidente … Solo che siamo nella parte conclusiva della LimonExtreme, per il sesto anno consecutivo finale della Migu Run Skyrunner World Series, la spia della riserva è già accesa e la lucidità di questa mattina è ormai un lontano ricordo. Quindi il mio collega è più che giustificato. Oltretutto siamo ancora molto in alto, dentro un continuo saliscendi, nonostante al traguardo di Lungolago Marconi non possano mancare più di cinque o sei chilometri. Delle due l’una: o manca più strada di quello che penso/spero, oppure davanti abbiamo una discesa vertiginosa e tritaginocchia. La seconda, naturalmente!

La sveglia è suonata presto ma non prestissimo. Per collegarsi meglio al party serale di fine stagione, immagino, il via della skyrace da ventinove chilometri ed oltre duemilacinquecento metri di dislivello positivo è fissato alle undici di mattina. Orario molto agevole: l’unica “concessione” alla comodità alla quale oggi ho diritto, mi sa. Di sicuro però tutto questo significa che correremo nelle ore più calde della giornata. Bene, sono qui apposta e non vedo l’ora. Sono destinato a barcamenarmi come al solito a metà classifica ma … fa lo stesso: non vedo l’ora di partire. Quattro passi tranquilli all’ufficio gara per ritirare il pettorale ed il resto del “corredo” prima di rientrare alla mia base al B&B GianMartin per una ricca colazione sulla caratteristica Piazza Garibaldi vista lago. Si avvicina l’ora: altra brevissima passeggiata per raggiungere il villaggio di partenza e arrivo. La LimonExtreme è un evento di altissimo livello (mondiale, appunto): per contenuto tecnico e per qualità dell’organizzazione. Ho dormito a non più di trecento metri dalla linea del traguardo, l’auto è parcheggiata al coperto appena più in là. E davanti ho tutti quei chilometri, tutte quelle salite da sforzo totale e “appagante”. Non si può chiedere di meglio.

La giornata è luminosa. Perfettamente allineata con il motto (il claim, se preferite) delle World Series: “Less Cloud, More Sky”. Le ore che ci separano dal via sono tutto un crescendo di euforia e tensione, brevi sgroppate di riscaldamento, capannelli di runners che si raccontano le ultime “imprese” e si scambiano dritte ed informazioni più o meno precise circa l’impegno ormai dietro l’angolo. Una babele di lingue. Atleti da USA e Brasile, Marocco e Giappone. Tanta Europa naturalmente: Scandinavia e Germania, Austria e Svizzera. Soprattutto Spagna e naturalmente Italia. Tanti livelli di preparazione. Outfit minimal oppure supergriffati. I professionisti restano rintanati chissà dove. “King” Kilian, Hillary Gerardi che fa gli anni proprio oggi, Sua Longevità Marco De Gasperi, il santone USA Krupicka, Bonnet, Desco, Alexandersson … Spuntano fuori solo nell’imminenza del via e so già che spariranno rapidamente all’orizzonte … Male che vada un giorno, correndo nelle retrovie di una garetta da niente, mi … vanterò di aver corso una sky insieme a Kilian Jornet e che “ad un certo punto ero a pochi secondi da lui”. Dovrò forse specificare che eravamo appena partiti …?

L’avvio della corsa è spettacolare: bang! E siamo già lanciati attraverso le viuzze del centro storico di Limone, a pochi metri dal lago, tra negozi di souvenir, hotel e pizzerie, lungo il selciato e sotto le fresche volte, fendendo lo “struscio” del sabato mattina. Il ritmo delle “battute” sull’asfalto invoglia a tenere il passo di quelli veri là davanti. Complice questa sorta di Estate di San Martino in anticipo di un mese (o semplice prolungamento dell’estate vera e propria?) la stagione turistica sul Garda non è ancora arrivata ai titoli di coda. L’incoraggiamento fa gonfiare il petto e serve ad affrontare con un minimo di slancio le prime rampe tra la boscaglia appena sopra le case e poi lungo un sentiero che si impenna, “infestato” da pietre bianchissime, in alcuni casi ridotte a ghiaia che fa scivolare: un passo in su, mezzo in giù … Sono nella pancia del gruppo e ormai noi qua dietro abbiamo smesso di correre: siamo in settecento, incolonnati lungo una traccia stretta. “Sembra di essere in tangenziale”, sento dire. I soliti incontentabili. Però in effetti numero chiuso a quota cinquecento magari potrebbe essere meglio. Nessuno di noi parla ma i frequenti “alè, alè, alè!” del pubblico e degli escursionisti servono. Eccome se servono. A me fa particolarmente piacere l’incitamento della vulcanica Martina Valmassoi che incrociamo lungo il percorso e che stavolta non è nel gruppo (o meglio nella sua testa) ma in giro a scattare fotografie.

Il primo passaggio dalle parti della Cima della Mughera mi trova tutto sommato abbastanza tonico e la condizione decente mi spinge ad aggredire pieno di buoni propositi la discesa a perdifiato tra i boschi. Non sono mai stato da queste parti però e, pur avendo studiato il percorso “a tavolino” non immagino che il secondo passaggio in vetta, prossimo piatto del menù, farà da spartiacque inesorabile tra le mie ambizioni già parecchio circoscritte e la dura realtà. Riprendiamo a salire lungo le creste. Corsa “a fil di cielo”, come direbbe l’amico Maurizio Torri di sportdimontagna.com. A tratti tutti incolonnati e aggrappati allo stesso spezzone di corda fissa (si prendono certe strattonate …). Un sacco di polvere nell’aria e sassi che rotolano giù. E poi il caldo, da “Indian Summer” come detto sopra. Per … errore ad un certo punto lungo la cresta mi scappa inavvertitamente lo sguardo verso il cielo: vedo una serpentina di concorrenti che si arrampicano per le svolte del sentiero lassù in alto. Ma molto in alto. Un momento di crisi, anzi il solito momento di panico che immancabilmente arriva. Ma lo conosco, appunto. “Poi passa … poi passa … poi passa”. Il mantra funziona e vado avanti, riconfortato da non so bene cosa, ma viene da dentro e questo è un buon segno. Il GPM di Monte Carone è un’altra bella sfida ma la affronto con la consapevolezza che ormai, imprevisti a parte, fino alla fine vado di sicuro. Dopo lo scollinamento inizia l’interminabile saliscendi di cui sopra, quello del “ma dov’è Limone …?”

Poi finalmente arriva la discesa finale. All’inizio dentro i boschi, su fondo morbido. La terra scura, smossa dagli atleti passati prima di me (centinaia di loro …) offre un’ottima presa, rassicurante. Ti tiene letteralmente dentro la traccia giusta. Ogni atterraggio è una spinta per il salto successivo. Recupero qualche posizione. Poi entriamo nell’inferno dello skyrunner dilettante. Intorno al chilometro ventidue-ventitre sbuchiamo in mezzo a pietraie e ghiaioni. Si salta da un masso all’altro. E non tutti stanno fermi al loro posto, quando ci metti il piede sopra. Claudia, che mi ha sfilato nei boschi diversi chilometri fa, tirandosi dietro un codazzo di quattro o cinque “pretendenti”, adesso è bella piantata in mezzo al sentiero. Un atleta è steso a terra, circondato dagli uomini del Soccorso Alpino. Gli tastano una gamba e lui urla. Ad un altro, accasciato a terra ai lati del sentiero poco più sotto, un soccorritore fa: “se non fosse così ripido potresti scendere da solo ma …”. Poi ci sono gli atleti temporaneamente abbattuti lungo il percorso dai crampi: quelli che arrivano all’improvviso e ti fanno letteralmente saltare per aria, prima di gettarti a terra come una bestia ferita. E quelli lungamente preannunciati, che poi inevitabilmente colpiscono. Comunque dolorosi, da togliere il fiato ma in fondo solo crampi. Poi passano.

Ho guadagnato diverse posizioni ma l’incoscienza mi corre appena davanti, troppo vicina, e dopo un fuoriprogramma che mi procura solo qualche escoriazione, decido che è il caso di togliere una marcia. Qualche rampa maledetta dentro una specie di “orrido” appena sopra il paese non mi procura patemi particolari. Ormai le gambe mi portano al traguardo comunque, anzi ne passo ancora un paio. Giù adesso, direzione spiaggia, ormai come sotto ipnosi. Poi l’ultimo chilometro fino a Lungolago Marconi e la “passerella” verso il traguardo che raggiungo nella scia dell’amico Alessandro, organizzatore del TGS, il Trail delle Grigne Sud che mi ha fatto tribolare per nove ore filate alla fine di settembre. Stavolta chiudo la prova in “sole” cinque ore e cinquanta minuti. Il vincitore Davide Magnini ha impiegato la metà del tempo: tre ore meno … trentasei secondi. Nuovo record assoluto.

Tagliato il traguardo, ci muoviamo un po’ tutti come sulle uova per qualche minuto. Mi siedo per terra a riprendere fiato. Una ragazza, appena arrivata, ha bisogno di assistenza: è seduta con la testa tra le mani ed una soccorritrice le sta davanti e gli fa qualche domanda per sondarne lo stato. Poi le passa. Si rialza e si avvia con passo incerto verso il ristoro, la doccia, non so bene. Per lei, per me, per tutti quelli arrivati prima di me (anche molto prima) e per quelli che arriveranno dopo (anche molto dopo), rimane la soddisfazione – bella spessa - di averne messa via un’altra. Tutto intero, appena qualche graffio. Cedo per qualche istante e mi sfogo un po’ con la testa in mezzo alle ginocchia. Poi mi tiro su anch’io e mi dirigo senza la minima esitazione al pasta party. Perché la sete l’ho puntualmente placata lungo il percorso (diversamente, non sarei arrivato giù) ma la fame viene fuori adesso tutta in una volta ed è una brutta bestia. Mai come la LimonExtreme. Che poi passa, anzi che ormai è passata, ma … speriamo torni presto!

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