A spasso nel tempo sullo storico asfalto dell'Autodromo Nazionale di Monza
di Stefano Gatti© Stefano Gatti
Alla fine dello scorso mese di agosto Lando Norris staccò al volante della McLaren-Mercedes la pole position del Gran Premio d’Italia di Formula Uno completando in un minuto, 19 secondi e 327 millesimi i 5800 metri del giro di pista dell’Autodromo Nazionale di Monza. Poco più di sei mesi dopo (domenica 9 marzo) noi ne abbiamo impiegati grossomodo… ventotto per fare altrettanto nella nona edizione di Run For Life! Certo, viaggiando "a tutta velocità" verso il traguardo dei sessantuno anni la potenza del “motore” è quella che è, vale a dire limitata. Nel corso dell’inverno ho pure dovuto osservare una inopportuna sosta ai box (meglio non dilungarsi qui sul perché, verrà il momento) ma per fortuna il “treno” di Brooks Hyperion Elite 3 ai miei piedi ha fatto fino in fondo il suo dovere, portandomi tutto intero alla fine del giro nel tempo che - all’indomani della pole di cui sopra - Charles Leclerc ha impiegato per coprire poco più di un terzo dei settantaquattro minuti necessari al ferrarista per vincere per la seconda volta il Gran Premio al volante della Ferrari.
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Corse e… ricorse insomma!
Ad onore del vero, noi non ci siamo accontentati di ingaggiare i nostri avversari lungo il singolo giro dello Stradale, pescando dentro la proposta agonistica dell’evento Run For Life (mezza maratona, dieci e cinque chilometri) l’opzione intermedia: il “diecimila” che, completato il giro da quasi sei chilometri, si addentrava ancora più profondamente nelle storia del motorsport e in quella dell’Autodromo Nazionale, inanellando (letteralmente) un giro completo dell’anello di Alta Velocità che completa e “incornicia” l’impianto monzese immerso nel verde del Parco della Villa Reale, utilizzato in abbinamento allo Stradale nei ruggenti (letteralmente, again) anni Trenta del secolo scorso e poi ancora - a Mondiale di Formula Uno iniziato - a metà degli anni Cinquanta (1955 e 1956) e poi ancora nei primi anni Sessanta (1960 e 1961).
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Meglio tornare al presente, o meglio presentarsi sulla linea di partenza. Troppo ghiotta per rinunciarvi l’occasione di “pestare” lo storico asfalto monzese che per tutti i restanti giorni dell’anno devo accontentarmi di osservare dall’esterno. La vicinanza con Monza mi porta infatti ad allenarmi spesso nel verde del suo Parco ma soprattutto nelle sue… pertinenze motoristiche: quelle dell’Autodromo, appunto. È anche - ma non solo ovviamente - una questione affettivo-motivazionale. È proprio tra queste curve che ho iniziato - ormai quarant’anni fa - a fare il giornalista e la mia frequentazione dell’Autodromo risale addirittura al Gran Premio d’Italia del 1977, con mio papà e il mio fratello minore.
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Correre tra viali e sentieri dentro il perimetro della pista o immediatamente al suo esterno mi permette di… tornare giovane, anche se la performance - ça va sans dire - non se ne giova più di tanto purtroppo! Quello che mi stupisce è come la maggior parte dei runners frequentatori del Parco non sembrino affatto apprezzare la possibilità di accedere ai sentieri e ai viali dell’Autodromo i cui varchi principali - nei giorni liberi da eventi ufficiali, la stragrande maggioranza dei 365/366 annui - sono aperti e accessibili al pubblico. Sarò io ad essere un runner particolarmente asociale e “orso” ma non mi lamento, ci mancherebbe altro: l'esperienza così è ancora più profonda e personale.
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Ritiro pettorale e pacco-gara smarcato già alla vigilia nel village RFL allestito nel paddock principale dell’Autodromo (l’area dietro ai box nella quale in occasione del GP sono parcheggiate le asettiche officine viaggianti dei team e le faraoniche aree hospitality), senza negarmi una visita nell’edificio che sovrasta i garage, deserto per l’occasione ma oggi aperto al pubblico. Run For Life ha oltretutto “noleggiato” alcuni dei box stessi ad uso area iscrizioni, deposito borse e spogliatoi!
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Mi ripresento in Autodromo di buon’ora domenica mattina per la gara e mi imbatto quasi subito in Maurizio e Antonio, miei compagni di squadra di ASD Sportiva Lanzada, appena arrivati dalla Valmalenco. Indossiamo le nostre divise biancorossonere nei box e poi il classico scatto in formazione da battaglia davanti alla serranda dei box stessi, forse proprio quello dal quale Norris, Leclerc oppure Hamilton si sono lanciati in pista alla fine della scorsa estate e torneranno a fare alla fine della prossima.
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Quattro chiacchiere anche con l’amico Dario, poi all’apertura dei cancelli sciamiamo verso la pista come cavalli imbizzarriti davanti a un pascolo verdissimo e sterminato. L’attesa del via si prolunga più del previsto: siamo in seimila e qualcuno si sta ancora iscrivendo! Cerchiamo di tenere su di giri il motore e una decina di minuti dopo le nove “sgommiamo” via al semaforo verde verso l’imbuto della Prima Variante!
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Siamo tutti “smodatamente” alla caccia del personal best, determinatissimi a sfruttare la chance di… evoluire su un asfalto perfettamente liscio e levigato come poche volte capita di calpestare. Di fatto - me ne accorgo durante l’intero giro di pista - è come correre in autostrada: un lunghissimo e larghissimo rettilineo senza soluzione di continuità: le curve non sono neanche curve, siamo sempre full gas. Non mi nego qualche passaggio a cavallo dei cordoli e… anche appena oltre, a mio rischio e pericolo di incorrere in una penalità da track limits!
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Curva Grande (il Curvone) e Variante della Roggia, guadagno metri a piene mani stringendo le curve lungo la traiettoria ideale, poi imbocchiamo le due Lesmo in successione e ci tuffiamo nella discesa (con la leggera piega a sinistra della Curva del Serraglio) sotto la Sopraelevata che percorreremo tra qualche minuto. Mi guardo intorno e vedo - al di là delle reti - stradine e sentieri a bordo pista che percorro tutto il resto dell’anno, cercando di godermi fino in fondo questa possibilità di essere “al di qua del confine” e di godermi l’Autodromo nella sua vera essenza. Rilevo tutto con occhio clinico, anche le linee bianche degli intertempi e i fori nell’asfalto dentro le quali in occasione del GP sono “annegate” le microcamere da effetti speciali.
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Variante Ascari tagliata impietosamente lungo la linea di minor percorrenza e a seguire l’interminabile rettilineo che poi invece… termina con l’imbocco della Curvetta, impropriamente chiamata Parabolica e oggi curva Michele Alboreto (tutti sull’attenti per il grande campione milanese). Al centro della curva i colleghi in gara sulla mezza maratona ci lasciano per allungare la strada verso una parte centrale della loro prova ambientata nel Parco: a più tardi!
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Per noi della 10K primo passaggio sul traguardo e poi freccia a destra e doppia curva a gomito destra-sinistra per la seconda parte di gara lungo l’anello di Alta Velocità (perché, sullo Stradale si va piano?) che percorro spesso e volentieri in allenamento ma mai in modo completo per via degli sbarramenti (oggi aperti per noi) che impediscono l’accesso allo Stradale.
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Tengo il ritmo sulla Sopraelevata Nord che (come quella gemella Sud) va percorsa lungo l’apron, la sua parte più bassa e meno “sghemba”: questione di non “farsi” le caviglie appena pochi metri più alla propria sinistra, dove la pendenza aumenta e dove di fatto si trova la pista vera e propria che - al centro delle due curve - è un vero e proprio muro sul quale a piedi ci si arrampica a stento (difficilissimo arrivare ad afferrare il guard rail del bordo più alto) e in ogni caso a me è riuscito di fare l’ultima volta quando avevo i pantaloni corti (e non parlo di quelli da running…).
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Sul rettifilo di ritorno (oggi utilizzato per corsi di guida sicura, anche delle Forze dell’Ordine), inizio ad accusare la fatica ma stringo i denti lungo la Sopraelevata Sud e mi riaffaccio in condizioni tutto sommato passabili sul rettilineo dei box, chiudendo la mia prova una trentina di secondi dalla parte “giusta” del muro dei cinquanta minuti di gara. Me la faccio andare bene (di gare stradali ne faccio al massimo tre all’anno), ritiro la mia medaglia finisher e poi raggiungo il villaggio-gara e in particolare l’area street food per un meritatissimo (e salatissimo, nel senso del prezzo, non mi rivedi più) hamburger cacio e pepe.
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Giovedì 13 marzo, quattro giorni dopo la gara. Sono di nuovo in Autodromo (e di nuovo al di là delle reti) per un allenamento. Mi sono portato il pettorale di Run For Life e la medaglia. In pista girano le Formula 3 e alcune Granturismo Ferrari, Lamborghini e Porsche. Mi fermo due o tre volte, salgo in tribuna e poi mi avvicino alle reti esterne: appendo il pettorale alle reti e la medaglia ai cartelli che raccontano la devastazione portata dalle tempeste di luglio 2023 (l’incasso di RFL è stato devoluto alla ripiantumazione in corso).
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Scatto, sorrido, sospiro. Poi riprendo a correre. Il Parco è casa, l'Autodromo è per la vita: Run For Life.
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